È lecita la penale per la revoca del mandato all'avvocato?
Se revochi il mandato al tuo avvocato, devi pagare una penale onerosa prevista dal contratto? Non sempre. La Corte di Cassazione la considera una clausola vessatoria se non c’è stata una vera trattativa individuale.
Chi conferisce mandato a un avvocato e si fa assistere da questi, può revocargli l’incarico in qualsiasi momento, senza dover giustificare la propria decisione o motivarla. La “disdetta” ha effetti immediati, salvo l’obbligo per il professionista di continuare a difendere l’ex assistito finché non verrà materialmente sostituito dal successivo collega. Dal canto suo, il cliente deve versare al legale l’onorario per l’attività sino ad allora svolta. Detto ciò, ci si è chiesto se il contratto di mandato possa contenere una clausola penale per il recesso anticipato.
Indice
Il cliente che firma un contratto con un avvocato è considerato un “consumatore”?
Anche se tra avvocato e assistito si instaura un rapporto di collaborazione e fiducia, ai fini legali il cliente che agisce per scopi estranei alla propria attività imprenditoriale o professionale è a tutti gli effetti un
Questa qualifica è importantissima perché attiva tutto il corpo di norme a tutela del consumatore (contenute nel Codice del Consumo) contro le cosiddette clausole vessatorie, ovvero quelle clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto.
Una clausola che prevede una penale molto alta per il recesso anticipato è sempre valida?
Proprio in virtù della tutela del consumatore, una clausola che impone al cliente il pagamento di una somma di denaro manifestamente sproporzionata a titolo di penale in caso di recesso dal contratto, si presume vessatoria fino a prova contraria.
La legge, cioè, presume che una clausola del genere sia stata imposta dal professionista (la parte “forte” del rapporto, che predispone il contratto) senza una vera contrattazione, creando uno squilibrio a danno del cliente. Una penale eccessiva, infatti, potrebbe di fatto scoraggiare o impedire al cliente di esercitare il suo legittimo diritto di revocare il mandato al professionista di cui non si fida più. Risultato: la penale non ha alcun valore e il cliente non è tenuto a pagarla.
La vicenda
La vicenda decisa dalla Suprema Corte illustra perfettamente il problema. Una signora, dopo la morte del marito, si era rivolta a un avvocato per farsi assistere in una complessa causa di responsabilità medica. Al momento del conferimento dell’incarico, aveva firmato un contratto che prevedeva una clausola penale molto pesante: in caso di revoca anticipata del mandato, avrebbe dovuto versare al legale ben 125.000 euro. Tale cifra era stata calcolata come il 25% di 500.000 euro, ovvero la somma che sarebbe spettata all’avvocato come compenso in caso di vittoria finale della causa.
Dopo che il professionista aveva già compiuto alcune attività preparatorie, la cliente ha deciso di revocare il mandato e di affidarsi a un altro legale. L’avvocato le ha quindi chiesto il pagamento della penale.
Il Tribunale, in primo grado, aveva ritenuto la penale “eccessiva” e l’aveva ridotta, condannando comunque la donna a versare all’avvocato oltre 17.000 euro a titolo di compenso per l’attività svolta, più il rimborso forfettario del 15%. La questione è quindi arrivata fino in Cassazione.
La “doppia firma” sulla clausola penale è sufficiente a renderla valida e non vessatoria?
Spesso, nei contratti predisposti su moduli o formulari, le clausole particolarmente onerose vengono fatte firmare una seconda volta, separatamente dal resto del contratto (la cosiddetta “approvazione specifica per iscritto” ai sensi degli articoli 1341 e 1342 del Codice Civile).
Molti pensano che questa doppia firma “sani” la clausola e la renda inattaccabile. La Cassazione, invece, ha ribadito che questa prassi non è sufficiente a superare la presunzione di vessatorietà nel caso in cui il cliente sia un “consumatore”.
La seconda firma dimostra soltanto che il cliente ha letto la clausola e ne è venuto a conoscenza, ma non prova affatto che quella clausola sia stata oggetto di una vera e propria trattativa individuale. Per la legge a tutela del consumatore, una clausola squilibrata rimane presunta vessatoria anche se approvata specificamente per iscritto, se non si dà la prova di una negoziazione effettiva.
Ma cosa deve provare esattamente l’avvocato per poter far valere una clausola penale così onerosa? L’ordinanza n. 15271/2025 è molto chiara su questo punto. Poiché la clausola che prevede una penale manifestamente eccessiva a carico del consumatore si presume vessatoria, l’onere della prova si inverte. Non è più il cliente a dover dimostrare che la clausola è ingiusta, ma è il professionista (l’avvocato) a dover dimostrare che quella clausola non è vessatoria perché è stata oggetto di una trattativa individuale con il cliente. In pratica, l’avvocato deve provare in giudizio che su quella specifica clausola c’è stata una negoziazione che ha consentito al consumatore di discuterne il contenuto e, potenzialmente, di modificarlo.
Quali sono le caratteristiche che deve avere una “vera trattativa individuale” per essere considerata tale?
Per superare la presunzione di vessatorietà, non basta una generica affermazione di aver “discusso” il contratto. La Cassazione ha indicato che il professionista deve dimostrare che sulla clausola c’è stata una trattativa caratterizzata da tre requisiti specifici:
- serietà: la negoziazione non deve essere stata una pura formalità, ma un confronto reale e serio;
- effettività: il cliente deve aver avuto la concreta possibilità di incidere sul contenuto della clausola, proponendo modifiche o alternative;
- individualità: la trattativa deve aver riguardato specificamente quella clausola, e non genericamente l’intero contratto. Non deve essere stata una semplice accettazione passiva di una clausola standard non negoziabile.
Nel caso di specie, la Cassazione ha accolto il motivo di ricorso della cliente su questo punto. Tuttavia, ha anche accolto un motivo del ricorso incidentale dell’avvocato. Il legale, infatti, si era lamentato del fatto che il giudice di merito non avesse ammesso le prove orali (cioè i testimoni) che lui aveva chiesto di sentire proprio per dimostrare che una trattativa su ogni clausola del contratto era effettivamente intervenuta. La Cassazione ha ritenuto che l’avvocato avesse diritto a fornire questa prova, e ha rinviato la causa a un altro giudice per consentire questo accertamento.