Conto cointestato: i soldi sono sempre al 50%?

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Se un coniuge svuota il conto cointestato prima della separazione, ha diritto a tenersi la metà? Non sempre. Questa guida completa spiega perché la presunzione del 50/50 può essere superata e come provare che i soldi sono solo tuoi.

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La fine di una relazione è spesso accompagnata da tensioni economiche. Uno dei gesti più temuti e, purtroppo, più comuni, è quello di un coniuge che, alla vigilia della separazione, si reca in banca e preleva una parte consistente, se non tutta, della somma depositata sul conto corrente cointestato. In una situazione del genere, la domanda che sorge spontanea è carica di angoscia e di rabbia: può farlo? E quei soldi sul conto cointestato, sono sempre al 50% ossia di entrambi

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, a prescindere da chi li abbia effettivamente versati?

Molti credono che la semplice cointestazione renda i contitolari proprietari della metà esatta del saldo, ma non è così. La giurisprudenza (da ultimo cfr. Tribunale Napoli sent. n. 6235/2025) ha fatto piena chiarezza, ribadendo un principio fondamentale: la presunzione del 50/50 può essere superata, e chi ha alimentato il conto da solo ha il diritto di riavere indietro i suoi soldi.

Cosa dice la legge su un conto corrente cointestato? La presunzione del 50/50

Quando due persone, come due coniugi, aprono un conto corrente cointestato, la legge stabilisce due regole generali:

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  1. solidarietà verso la banca: nei confronti della banca, i cointestatari sono “creditori o debitori solidali”. Questo significa che ciascuno può operare liberamente sul conto (ad esempio, prelevando somme anche oltre la propria quota). All’inverso, se il conto va in rosso, la banca può chiedere la restituzione dell’intera somma a uno solo dei due;
  2. presunzione di comproprietà tra i titolari: nei rapporti interni tra i cointestatari, il denaro depositato sul conto si presume appartenere a entrambi in parti uguali, cioè al 50%.

È proprio questa presunzione che porta molti a credere, erroneamente, che la metà dei soldi sul conto sia “propria” in ogni caso. Ma attenzione: si tratta di una presunzione “relativa”.

Come dimostrare che il conto cointestato è solo di una persona?

La presunzione di comproprietà (50% a testa) può essere superata. La presunzione di contitolarità al 50% non è una regola ferrea, ma può essere vinta fornendo la prova contraria.

Questo significa che uno dei due cointestatari può rivolgersi a un giudice e dimostrare che, nonostante la cointestazione formale del conto, la proprietà sostanziale delle somme depositate è esclusivamente sua (o sua in una percentuale maggiore del 50%). Questo fa sì che l’altro cointestatario dovrà restituire le somme illegittimamente prelevate, dal primo all’ultimo euro.

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Come posso dimostrare in tribunale che i soldi sul conto cointestato sono solo miei?

Per superare la presunzione del 50/50, bisogna fornire al giudice delle prove “gravi, precise e concordanti”. L’onere della prova, in questo caso, è a carico della parte che sostiene che la situazione reale sia diversa da quella che appare dalla cointestazione.

La prova consiste nel dimostrare la provenienza esclusiva del denaro versato sul conto.

La prova più forte e più comune è dimostrare che gli unici o i principali versamenti che hanno alimentato il conto nel tempo sono stati gli accrediti del proprio stipendio o della propria pensione.

Si può dimostrare che le somme depositate derivano dalla vendita di un bene personale, come un immobile ricevuto in eredità o che si possedeva prima del matrimonio.

Si può provare che i soldi sono stati trasferiti da un altro conto corrente intestato esclusivamente a uno dei due coniugi.

Il caso specifico deciso dal Tribunale di Napoli: la moglie insegnante e il conto svuotato

La recente sentenza n. 6235/2025 è un esempio perfetto di come questi principi vengono applicati.

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Una coppia, in regime di separazione dei beni, aveva un conto corrente cointestato. Alla vigilia della separazione, il marito si reca in banca e preleva circa la metà della somma presente sul conto (oltre 13.000 euro), ritenendola di sua spettanza.

La moglie, di professione insegnante, fa causa all’ex marito, chiedendo la restituzione della somma prelevata.

In tribunale, la donna riesce a dimostrare, attraverso gli estratti conto, che la provvista su quel conto era stata alimentata quasi esclusivamente dai bonifici del suo stipendio, versati dall’istituto professionale in cui lavorava. Il marito, al contrario, non è riuscito a fornire alcuna prova di aver contribuito ai depositi, ad esempio con emolumenti derivanti da sue collaborazioni.

A indebolire ulteriormente la posizione del marito è stata una sua stessa ammissione. Ha dichiarato che quel conto era un “conto di risparmio” della coppia, ma ha anche ammesso che per le spese familiari utilizzavano un altro e diverso conto, il primo che avevano aperto, che però non era oggetto della causa.

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Di fronte a questo quadro, il Tribunale di Napoli ha dato piena ragione alla moglie. I giudici hanno stabilito che la donna aveva superato con successo la presunzione di comproprietà al 50/50.

La prova inequivocabile che il conto era alimentato solo dai suoi stipendi, unita alla mancanza di prove di versamenti da parte del marito, ha dimostrato che la titolarità sostanziale di quelle somme era esclusivamente sua.

Il prelievo da parte del marito, quindi, è stato dichiarato illegittimo, e l’uomo è stato condannato a restituire all’ex moglie l’intera somma che aveva prelevato, oltre agli interessi legali.

Conclusioni: la cointestazione non è una garanzia di divisione a metà

La sentenza del Tribunale di Napoli è un monito importante per tutte le coppie, sposate o conviventi. La cointestazione di un conto corrente è una scelta di comodità e di fiducia, ma non modifica la proprietà sostanziale del denaro.

Il principio che emerge è chiaro: la cointestazione fa solo presumere che i soldi siano di entrambi al 50%. Tale presunzione può essere

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superata con la prova contraria, dimostrando chi ha effettivamente versato le somme sul conto.

La prova più efficace è quella che traccia l’origine dei versamenti (stipendi, pensioni, vendite di beni personali, ecc.).

Questo significa che il coniuge economicamente più debole, che magari non lavora ma gestisce il conto su cui viene accreditato solo lo stipendio dell’altro, non può, in caso di separazione, pretendere la metà del saldo se non ha contribuito ad alimentarlo. E, viceversa, il coniuge che alimenta da solo il conto è pienamente tutelato e può chiedere la restituzione di somme prelevate indebitamente dall’altro. La forma, ancora una volta, cede il passo alla sostanza.

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