Inviare video scaricati da OnlyFans è reato?

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Condividere video hard presi da OnlyFans è reato di revenge porn? La Cassazione chiarisce che il consenso è limitato alla piattaforma e diffondere i contenuti all’esterno è illegale.

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Nell’era dei social media e delle piattaforme di content creation come OnlyFans, il confine tra pubblico e privato è diventato sempre più labile e complesso. Molti creator scelgono di condividere immagini e video di natura intima, monetizzando la propria immagine all’interno di community riservate. Questo ha alimentato una domanda importante: se una persona pubblica volontariamente un video hard, o comunque hot, su una piattaforma, anche a pagamento, quel contenuto può essere liberamente scaricato e condiviso altrove?

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Inviare video scaricato da OnlyFans è reato?

La Cassazione, con la recentissima sentenza n. 25516/2025, chiarisce ogni dubbio: tale condotta, se non autorizzata dal titolare del materiale, integra il reato di revenge porn. Difatti, il consenso dato online non è mai una carta bianca per la diffusione indiscriminata delle immagini e riprese video. Ma procediamo con ordine.

Cos’è il reato di revenge porn?

Il reato di “diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti”, comunemente noto come revenge porn, è disciplinato dall’articolo 612-ter del Codice Penale. La legge punisce chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video di organi sessuali o a contenuto sessualmente esplicito,

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destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate. La pena è la reclusione da uno a sei anni e una multa salata.

La chiave di volta per capire la recente sentenza della Cassazione sta proprio in quell’apparente dettaglio: cosa significadestinati a rimanere privati” nell’era digitale?

Ma se il video è su OnlyFans, non è già pubblico?

L’idea che “se è online, allora è pubblico” è giuridicamente infondata. Secondo la Suprema Corte, quando una persona carica un contenuto su una piattaforma come OnlyFans, che richiede una registrazione e spesso un abbonamento a pagamento, sta prestando un consenso circoscritto e limitato. Sta acconsentendo alla visione di quel contenuto solo ed esclusivamente da parte degli altri membri di quella specifica “comunità virtuale” (gli iscritti, gli abbonati). Non sta dando il permesso a chiunque di prendere quel materiale e diffonderlo all’esterno.

Allora, cosa significa “destinato a rimanere privato” in questo caso di OnlyFans e piattaforme simili? La Cassazione chiarisce che “privato” non significa “segreto” o visto da nessuno. In questo contesto, “destinato a rimanere privato” significa destinato a rimanere all’interno della

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cerchia di persone a cui il creatore ha scelto di mostrarlo.

Ecco un esempio calzante: è come invitare degli amici a casa e mostrare loro un album di fotografie personali. Si sta dando il consenso affinché loro vedano quelle foto, ma solo in quel momento e in quel luogo. Non si sta autorizzando nessuno a fotografare le pagine e a pubblicarle su Facebook o a inviarle su WhatsApp ad altre persone. La piattaforma online, con i suoi requisiti di accesso, funziona come le mura di casa: definisce un perimetro di privacy.

E se il contenuto è anche su X (ex Twitter)?

Nel caso specifico esaminato dalla Cassazione, la difesa dell’imputata (una donna di 28 anni che aveva inviato un video hard del suo ex alla famiglia di lui) ha provato a sostenere che il video non fosse privato perché pubblicato anche su X, una piattaforma ritenuta “liberamente accessibile”. La Corte ha smontato questa tesi, sottolineando che anche piattaforme come X richiedono una previa registrazione dell’utente per poter interagire e visualizzare i contenuti. Questo crea comunque una barriera, un contesto definito. Ma il punto cruciale è un altro: indipendentemente dalla piattaforma di origine, l’atto criminale consiste nell’

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estrapolare il contenuto dal suo contesto originale e inviarlo a terzi (in questo caso, i parenti della vittima) che non facevano parte della community a cui era originariamente destinato.

Cosa ha stabilito la Cassazione nel caso specifico?

La Suprema Corte ha confermato il sequestro preventivo di smartphone e hard disk della ragazza indagata, ritenendo pienamente configurabile il reato di revenge porn. La sua azione di prelevare un video da una piattaforma online e inviarlo alla famiglia dell’uomo ritratto, senza il suo consenso, ha violato la natura privata di quelle immagini. Il fatto che l’uomo avesse scelto di pubblicarle per i suoi “fan” non ha dato all’imputata alcuna licenza di usarle come strumento di vendetta o umiliazione.

Qual è il principio di diritto applicabile in questi casi?

Il principio affermato dalla Cassazione è un monito fondamentale per tutti. Il consenso alla pubblicazione di un contenuto su una piattaforma con accesso limitato non costituisce mai un consenso alla sua ridistribuzione altrove.

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Prendere un video o una foto da OnlyFans, da un gruppo privato, da un profilo con restrizioni o persino da una chat di messaggistica e diffonderlo senza l’esplicito permesso della persona ritratta è un’azione illegale che integra il reato di revenge porn.

Conclusioni

In conclusione, questa sentenza rafforza le tutele per chi crea contenuti online e per le vittime di diffusione non consensuale. Stabilisce che i confini digitali hanno un peso legale e che la scelta di condividere la propria intimità con una community selezionata deve essere rispettata. Il tasto “condividi” o “inoltra” può sembrare un gesto innocuo, ma se usato per diffondere materiale sessualmente esplicito senza consenso, può trasformarsi in un’arma e portare a conseguenze penali devastanti.

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