Come si divide la casa in caso di separazione?
In caso di separazione, come si divide la casa cointestata? La guida completa che spiega le regole sull’assegnazione, i diritti dei figli e cosa succede se non si trova un accordo.
La fine di un matrimonio è un terremoto emotivo, un percorso complesso che, al di là del dolore, impone di affrontare questioni pratiche ed economiche di enorme importanza. E tra tutte, la più delicata e spesso più combattuta è quella che riguarda il destino della casa. Se l’immobile è di proprietà di entrambi, cosa succede? Come si divide la casa in caso di separazione? È fondamentale capire che la legge italiana segue due percorsi completamente diversi, guidati da un unico, fondamentale spartiacque: la presenza o meno di figli. La soluzione, infatti, non dipende da chi ha più “colpe” o da chi ha contribuito di più all’acquisto, ma da principi che mettono al centro, quando ci sono, la tutela dei soggetti più deboli.
Indice
Cosa succede alla casa se la coppia non ha figli (o se i figli sono grandi e autonomi)?
Se non ci sono figli minori o maggiorenni non economicamente autosufficienti da tutelare, il giudice non può disporre l’assegnazione della casa familiare a uno dei due coniugi (Tribunale Ordinario Torino, sez. 7, sentenza n. 1304/2023). La giurisprudenza è unanime nel chiarire che l’assegnazione non può essere usata come una misura “assistenziale” per aiutare il coniuge economicamente più debole; per quello, esiste lo strumento dell’assegno di mantenimento.
La questione, quindi, si sposta interamente sul piano della divisione della proprietà, e si applicano le normali regole sulla comunione. Le strade possibili sono due.
La soluzione con accordo (divisione consensuale)
È sempre la via preferibile, più rapida ed economica. I coniugi possono decidere autonomamente cosa fare dell’immobile. Le opzioni più comuni sono:
- vendere la casa a un terzo e dividere il ricavato in base alle rispettive quote di proprietà (solitamente al 50%);
- uno dei due coniugi acquista la quota dell’altro, diventando l’unico proprietario e versando all’ex un conguaglio economico pari al valore della sua metà.
La soluzione senza accordo (divisione giudiziale)
Se i coniugi non riescono a trovare un’intesa, ciascuno di loro può rivolgersi al tribunale per chiedere lo scioglimento della comunione e la divisione del bene. In questo caso, il giudice avvierà un procedimento che prevede questi passaggi:
- verifica della “comoda divisibilità”: il giudice, tramite un perito (il Consulente Tecnico d’Ufficio – CTU), valuta se la casa può essere “comodamente divisa” in due unità abitative autonome e funzionali. Per un appartamento, questa è un’ipotesi molto rara;
- se non è divisibile (caso più comune): il giudice può assegnare l’intera proprietà a uno dei due coniugi, se questi ne fa richiesta e dimostra di poter pagare all’altro il conguaglio. Se nessuno dei due chiede o può permettersi l’assegnazione, il giudice dispone la vendita dell’immobile all’asta. Il ricavato verrà poi diviso tra i coniugi.
Cosa succede, invece, se ci sono figli minori o non autosufficienti?
La logica proprietaria cede il passo a una logica protettiva. Il principio cardine, sancito dall’articolo 337-sexies del Codice Civile, diventa l’interesse superiore dei figli.
La finalità della legge è quella di garantire alla prole la possibilità di conservare il proprio “habitat domestico”, cioè il centro degli affetti e delle abitudini in cui sono cresciuti, per ridurre al minimo il trauma della crisi familiare.
L’assegnazione al genitore collocatario
Di conseguenza, il giudice assegnerà il diritto di continuare a vivere nella casa al genitore con cui i figli andranno a vivere stabilmente (il “genitore collocatario”).
Questa decisione viene presa indipendentemente da chi sia il proprietario dell’immobile. Il diritto di godimento del genitore assegnatario, infatti, comprime temporaneamente il diritto di proprietà dell’altro coniuge, anche se quest’ultimo ne fosse l’unico titolare.
Che tipo di diritto è quello del genitore assegnatario? E che impatto ha sulla divisione?
Il diritto del coniuge a cui viene assegnata la casa non è un diritto di proprietà, ma un diritto personale atipico di godimento. Questo diritto, però, è molto forte e ha un impatto decisivo sulla divisione dell’immobile.
Se il provvedimento di assegnazione viene trascritto nei registri immobiliari, esso è opponibile a chiunque. Questo significa che se il coniuge non assegnatario decide di vendere la sua quota, il nuovo acquirente sarà obbligato a rispettare il diritto di abitazione del genitore assegnatario fino alla sua cessazione.
Di conseguenza, la presenza di un provvedimento di assegnazione riduce significativamente il valore di mercato dell’immobile. In un eventuale giudizio di divisione, il giudice terrà conto di questa decurtazione nel determinare il valore del bene da dividere o da vendere all’asta (Tribunale Ordinario Novara, sez. 1, sentenza n. 142/2015).
Quando finisce il diritto di abitare nella casa assegnata?
Il diritto di godimento della casa familiare non è eterno. Viene meno quando cessano i presupposti per cui era stato concesso, ovvero:
- i figli diventano maggiorenni ed economicamente autosufficienti;
- l’assegnatario cessa di abitare stabilmente nella casa;
- l’assegnatario contrae un nuovo matrimonio o instaura una nuova convivenza stabile.
È fondamentale sapere che, come ha chiarito la
E per l’IMU, chi paga?
Anche ai fini fiscali, la legge prevede una regola speciale a tutela del nucleo familiare. Il provvedimento di assegnazione della casa si intende come un diritto di abitazione. Questo comporta che l’unico soggetto tenuto a pagare l’IMU sull’immobile è il coniuge assegnatario, anche se non ne è proprietario. Il coniuge proprietario non assegnatario, quindi, è liberato da questo onere fiscale (Cass. Civ., Sez. 5, n. 6544 del 03/03/2023).
L’assegnatario può godere tuttavia dell’esenzione IMU sulla prima casa se vi risiede e vi dimora abitualmente (così come dovrebbe essere per non perdere il diritto di abitazione).