Password della Pec al consulente, i rischi legali di un'abitudine che può costare caro

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Affidare la gestione della PEC al proprio consulente o limitare i danni in un contratto: sono solo alcune delle trappole nel rapporto tra professionisti e clienti. Un’analisi dei rischi nascosti dietro pratiche informali e dell’importanza cruciale di un mandato scritto e dettagliato per tutelare entrambe le parti.

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“Dottore, di queste cose non capisco nulla, le do la password della mia PEC, ci pensi lei”. Quante volte commercialisti, avvocati e consulenti del lavoro si sono sentiti rivolgere questa frase da un cliente, piccolo imprenditore o privato cittadino, sopraffatto dalla burocrazia digitale. Questo gesto, un “passaggio di consegne” basato sulla fiducia, è diventato una prassi talmente diffusa da sembrare normale. Ma non lo è. Anzi, è un campo minato, un’abitudine che nasconde rischi legali enormi, fino a configurare un reato. Questo è solo uno dei tanti esempi di come un rapporto professionale gestito con informalità e accordi verbali possa trasformarsi in una trappola sia per il cliente che per il professionista. Un’analisi delle problematiche più comuni, dalla

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gestione delle password alla limitazione della responsabilità, svela perché, oggi più che mai, un contratto d’incarico scritto, chiaro e dettagliato non sia una noiosa burocrazia, ma l’unico, vero, scudo a protezione di tutti.

La gestione della Pec e la trappola della password condivisa

Il problema più esplosivo riguarda la Posta Elettronica Certificata (PEC). Molti clienti non hanno le competenze o il tempo per gestirla, ma la PEC è uno strumento con pieno valore legale. Una comunicazione ricevuta via PEC (ad esempio una cartella esattoriale, una multa, un accertamento fiscale, un decreto ingiuntivo o una citazione) si considera ufficialmente notificata, con tutte le scadenze e le conseguenze che ne derivano. Affidarne la gestione al proprio consulente in modo informale è pericolosissimo.

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Il professionista che detiene le credenziali del cliente si assume una responsabilità enorme. Se una comunicazione importante viene persa o letta in ritardo, la colpa ricadrebbe su di lui. Ma c’è di più: la gestione delle password altrui, se non formalizzata, può integrare fattispecie di reato legate all’accesso abusivo a sistemi informatici. La soluzione “consigliata” dagli esperti è tanto formalmente corretta quanto, nella pratica, problematica: inserire nel contratto una clausola che autorizza il professionista al solo accesso alla casella, ma che lascia in capo al cliente l’obbligo di controllare le comunicazioni. Una clausola che serve a proteggere legalmente il consulente, ma che non risolve il problema sostanziale del cliente digitalmente analfabeta, lasciandolo di fatto esposto ai rischi.

I limiti del limitare la propria responsabilità

Un altro terreno minato è quello della responsabilità professionale. È possibile inserire in un contratto una clausola che limiti il danno risarcibile in caso di errore? La risposta è sì, ma con un limite invalicabile che rende questo “scudo” molto meno resistente di quanto si pensi.

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L’articolo 1229 del Codice Civile stabilisce infatti che è nullo qualsiasi patto che escluda o limiti la responsabilità per dolo o colpa grave. Cosa significa in pratica? Che un professionista può limitare il risarcimento per una colpa lieve, una piccola svista. Ma se l’errore commesso è frutto di una negligenza macroscopica e inescusabile (la “colpa grave”) – come dimenticare una scadenza fiscale fondamentale, commettere un errore di calcolo basilare o non conoscere una norma fondamentale del proprio settore – la clausola di limitazione del danno diventa carta straccia. Il contratto può proteggere da un errore, ma non dall’incompetenza manifesta.

Il cliente non paga, quando si può davvero interrompere il servizio

La situazione si ribalta quando è il cliente a essere inadempiente. Cosa può fare il professionista se non viene pagato? Può interrompere immediatamente le sue prestazioni? Anche qui, l’informalità è nemica. Il Codice Deontologico dei Commercialisti, ad esempio, prevede che in caso di rinuncia all’incarico, il professionista debba attendere fino a un massimo di 60 giorni prima di essere sollevato da ogni responsabilità, per dare al cliente il tempo di trovare un sostituto.

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Questo termine, però, è un massimo. La soluzione migliore per evitare ambiguità è, ancora una volta, il contratto. Inserire una clausola che, in caso di mancato pagamento, preveda la sospensione del servizio dopo un termine “ragionevole” (ad esempio, 15 o 30 giorni da un sollecito formale) permette di gestire la situazione con chiarezza, senza rischiare di essere accusati di aver abbandonato il cliente e di avergli causato un danno.

Il cliente ‘fantasma’, la gestione dei documenti abbandonati

Infine, c’è il problema del cliente che, al termine del rapporto o a seguito di un contenzioso, sparisce, lasciando in studio la propria documentazione contabile e fiscale. Il professionista ha l’obbligo di conservarla, ma fino a quando? E a quali costi?

Spedire tutto con un corriere è una soluzione rischiosa: non fornisce la prova certa del contenuto del pacco, e il cliente potrebbe non ritirarlo. Ancora una volta, la prevenzione contrattuale è l’arma migliore. È fondamentale inserire nel mandato una clausola che obblighi il cliente al ritiro dei documenti entro un termine preciso dalla fine dell’incarico. Si può anche prevedere che, superato tale termine, al cliente venga addebitato un compenso per il servizio di custodia e archiviazione. In ogni caso, un ultimo invito formale al ritiro tramite PEC o raccomandata è sempre un passo dovuto per tutelarsi.

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Conclusione, il contratto non è burocrazia, è la prima forma di tutela

Tutti questi esempi portano a un’unica, ineludibile conclusione: nell’attuale contesto legale e tecnologico, la gestione informale e basata sulla sola fiducia del rapporto tra professionista e cliente è un anacronismo pericoloso. Il contratto d’incarico dettagliato e firmato da entrambe le parti non è una “fastidiosa burocrazia”, ma il più importante strumento di tutela reciproca.

Serve a definire chiaramente i doveri e le responsabilità di ciascuno, a gestire le situazioni di crisi e a prevenire i contenziosi. Protegge il professionista da responsabilità improprie (come quella sulla PEC) e, allo stesso tempo, informa il cliente sui suoi obblighi (come il pagamento e il ritiro dei documenti), creando un rapporto più trasparente ed equilibrato. L’era del “ci pensi tu” basato su una stretta di mano è finita; oggi, la vera fiducia si costruisce sulla chiarezza di ciò che “è scritto qui”.

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