Bomba atomica in Italia: segreto di Stato contro i cittadini

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Un terzo delle armi nucleari USA in Europa è in Italia, violando un trattato e la volontà popolare. Un rischio taciuto per decenni.

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La scomoda verità delle testate nucleari americane in Italia. L’Italia si trova in una posizione di palese e rischiosa ipocrisia. Ufficialmente, il nostro Paese ha ripudiato l’atomica firmando il Trattato di non proliferazione nucleare il 2 maggio 1975. L’articolo II di quel patto internazionale è inequivocabile: l’Italia si impegna “a non ricevere da chicchessia armi nucleari”. Eppure, la realtà è radicalmente diversa e mette a nudo una subordinazione strategica che espone milioni di cittadini a un pericolo mortale, contro la loro stessa volontà. Un sondaggio Ipsos, sebbene non recente, cristallizza un’opinione pubblica granitica: l’80% degli italiani è fermamente contrario alla presenza di ordigni atomici sul suolo nazionale. Ciononostante, senza un dibattito pubblico, senza una trasparente decisione parlamentare, il nostro Paese ospita illegalmente circa un terzo di tutte le testate nucleari statunitensi presenti in Europa, trasformandosi in una potenziale prima linea in caso di conflitto.

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Dove si trovano le bombe e quali sono i rischi concreti?

Le bombe nucleari americane in Italia, modello B61 nelle sue varie evoluzioni, sono stoccate in due basi militari ben precise, trasformando le regioni circostanti in bersagli strategici. Si stima la presenza di un numero compreso tra 70 e 90 ordigni, anche se le cifre esatte sono coperte da segreto militare. Circa 50 di queste testate si troverebbero nella base aerea di Aviano, in Friuli-Venezia Giulia, mentre le restanti 20-40 sarebbero custodite nella base di Ghedi, in provincia di Brescia. La logica militare è spietata: in caso di escalation bellica, il primo obiettivo di un nemico è neutralizzare l’arsenale dell’avversario. Questo significa che milioni di cittadini tra Veneto e Lombardia vivono inconsapevolmente su un potenziale epicentro di devastazione nucleare, candidati a essere, come brutalmente descritto, “arrostiti vivi” senza avere alcuna voce in capitolo sulla loro sorte.

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Chi controlla realmente questi ordigni di distruzione di massa?

Non esiste alcuna consolazione nel pensare che queste armi possano rappresentare un deterrente nazionale. Il controllo delle bombe B61 è esclusivamente nelle mani dell’esercito degli Stati Uniti. Le forze armate italiane non hanno alcun potere decisionale sul loro utilizzo. Il comando operativo è statunitense e l’impiego è previsto tramite cacciabombardieri americani, come gli F-16 Falcons storicamente di stanza ad Aviano. Il programma di ammodernamento prevede inoltre la sostituzione di questi velivoli con i più moderni caccia F-35, anch’essi con capacità di trasporto e sgancio di armi nucleari. Questo significa che una decisione presa a Washington potrebbe innescare un attacco nucleare dal territorio italiano, con l’Italia a fare da piattaforma di lancio e, inevitabilmente, da bersaglio per la rappresaglia.

L’Italia ha mai tentato di avere un proprio arsenale nucleare?

La situazione attuale non è sempre stata un’accettazione passiva della strategia altrui. Nel secondo dopoguerra, le Forze Armate italiane manifestarono un concreto interesse a dotarsi di una propria

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capacità nucleare indipendente. Tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70, l’Italia avviò un proprio programma nucleare militare. Questo tentativo di ritagliarsi un ruolo autonomo nello scacchiere geostrategico fu però definitivamente abbandonato con la ratifica del Trattato di non proliferazione nel 1975. Quella firma segnò la fine delle ambizioni nucleari italiane, ma aprì la porta a una nuova e più ambigua fase: quella di un Paese formalmente non nucleare, ma di fatto una base atomica avanzata per conto di un’altra potenza, in una zona grigia del diritto internazionale e all’oscuro dei propri cittadini.

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