Procedimento disciplinare avvocati: è necessario l'esposto o si può procedere d'ufficio?

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Scopri perché il procedimento disciplinare contro un avvocato può partire d’ufficio, senza un esposto formale. Il CNF chiarisce il potere-dovere del Consiglio e l’irrilevanza della fonte della notizia.

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La professione forense si fonda su un rigoroso codice di condotta, la cui osservanza è garanzia di affidabilità, correttezza e dignità per l’intera categoria. La violazione di queste norme deontologiche può portare all’apertura di un procedimento disciplinare, un percorso che può concludersi con sanzioni anche molto severe. Tuttavia, le modalità con cui tale procedimento viene avviato sono spesso oggetto di errate convinzioni, sia tra i cittadini che, talvolta, tra gli stessi professionisti. L’idea più diffusa è che solo un cliente insoddisfatto, attraverso un reclamo formale, possa dare il via a un’indagine. Questo solleva una domanda fondamentale per la categoria e per i cittadini: per avviare un

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procedimento disciplinare avvocati, serve sempre un esposto? A questo interrogativo ha dato una risposta chiara e definitiva il Consiglio Nazionale Forense (CNF), che con la sentenza n. 36/2025 ha ribadito la natura autonoma e doverosa dell’azione disciplinare.

Quali erano le basi del ricorso dell’avvocato sanzionato?

La questione affrontata e chiarita dal Consiglio Nazionale Forense trae origine da una vicenda specifica. Un’avvocatessa era stata sanzionata dal Consiglio Distrettuale di Disciplina (CDD) di Campobasso con la sospensione dall’esercizio della professione forense per mesi due, a causa di una serie di illeciti deontologici. Nel suo ricorso al CNF, la legale si doleva principalmente della “mancanza dei presupposti legittimanti la condotta”.

Il fulcro della sua difesa poggiava su un punto preciso: l’assenza di un mandato

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conferito dalla persona che aveva presentato l’esposto (l’esponente). Secondo la tesi della ricorrente, non sussistendo una specifica nomina o un rapporto cliente-avvocato con chi l’aveva segnalata, verrebbe meno il presupposto indefettibileper la configurazione dell’illecito disciplinare contestato, in particolare quello previsto dall’art. 26, n. 3 del Codice Deontologico Forense. In sostanza, l’avvocatessa sosteneva che, senza un cliente, non poteva esserci l’illecito legato al rapporto con il cliente stesso.

Il procedimento disciplinare può essere attivato d’ufficio?

La questione centrale affrontata dal Consiglio Nazionale Forense riguarda la natura e l’origine dell’azione disciplinare, e la risposta fornita è stata netta. Le doglianze dell’avvocatessa sono state giudicate destituite di fondamento. Il CNF ha infatti ribadito un principio consolidato, basato su un unanime orientamento della giurisprudenza domestica e di legittimità.

Il fondamento normativo di tale principio risiede negli artt. 50 e 51 della Legge Professionale Forense n. 247/2012

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(che hanno sostituito il precedente art. 38 del R.D.L. n. 1578/33). Ai sensi di queste norme, il Consiglio territoriale ha il potere-dovere di promuovere d’ufficio l’azione disciplinare. L’utilizzo del termine “potere-dovere” non è casuale: esso sottolinea che l’organo disciplinare non ha una mera facoltà, ma un obbligo di procedere ogni qualvolta venga a conoscenza di un fatto potenzialmente rilevante sul piano deontologico. L’azione, quindi, non è subordinata all’iniziativa di un soggetto esterno, ma scaturisce direttamente dall’autorità e dalla responsabilità dell’ordine professionale.

Quanto conta la fonte della notizia dell’illecito?

Una conseguenza diretta del potere di agire d’ufficio è l’approccio che l’organo disciplinare deve avere riguardo alla provenienza delle informazioni. Il Consiglio Nazionale Forense ha chiarito che l’esercizio del potere disciplinare non è condizionato dalla tipologia della fonte della notizia dell’illecito. In altre parole, il modo in cui il Consiglio viene a conoscenza di una presunta violazione è del tutto irrilevante ai fini della legittimità dell’avvio del procedimento.

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La notizia può essere costituita “anche dalla denuncia di persona non direttamente coinvolta nella situazione nel cui ambito l’illecito è stato posto in essere”. Pertanto, la contestazione sollevata dall’avvocatessa ricorrente riguardo al “titolo” o al ruolo dell’esponente è stata giudicata dal CNF del tutto inconferente. L’organo distrettuale di disciplina, così come l’ordine forense, “può acquisire la notizia di illecito disciplinare in qualsiasi modo e da qualsiasi fonte”. Questo include, a titolo esemplificativo, la segnalazione di un terzo estraneo al rapporto tra cliente ed avvocato, un articolo di stampa, una sentenza giudiziaria o informazioni apprese in altro modo. Sulla base di queste considerazioni, rigettando anche le altre doglianze, il CNF ha confermato la sussistenza della responsabilità disciplinare e ha ritenuto congrua la sanzione comminata, respingendo il ricorso in toto.

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