Come tutelarsi dal revenge porn: la guida completa
Vittima di revenge porn? La legge italiana offre tutele su tre fronti: denuncia penale (Codice Rosso), reclamo al Garante Privacy e richiesta di risarcimento danni. Scopri come agire subito.
La diffusione non autorizzata di immagini o video intimi è un’esperienza devastante, una violenza che colpisce nel profondo la dignità e la serenità di una persona, lasciando ferite difficili da rimarginare. Vivere con l’angoscia che la propria privacy possa essere violata e data in pasto al web è un incubo che nessuno dovrebbe affrontare. Fortunatamente, l’ordinamento giuridico italiano non lascia sole le vittime, offrendo un arsenale di strumenti concreti per difendersi e reagire. Molti si chiedono: di fronte a un atto così grave,
Non si tratta di un percorso semplice, ma conoscere i propri diritti è il primo, fondamentale passo per riprendere il controllo della propria vita. La legge prevede un sistema di protezione su più livelli – amministrativo, penale e civile – pensato per intervenire rapidamente, punire i colpevoli e risarcire chi ha subito il torto.
Indice
Posso rivolgermi al Garante della Privacy per il revenge porn?
Quando si subisce la diffusione non consensuale di materiale intimo, una delle vie più efficaci e rapide è quella amministrativa, che si attiva rivolgendosi al Garante per la Protezione dei Dati Personali. La condivisione di foto o video sessualmente espliciti senza consenso, infatti, costituisce un trattamento illecito di
Esiste inoltre una procedura d’urgenza, pensata per agire in via preventiva. Se una persona ha il fondato timore che immagini private a contenuto esplicito che la riguardano stiano per essere diffuse, può segnalare il pericolo direttamente al Garante. Quest’ultimo, entro 48 ore, può emettere un provvedimento per bloccare preventivamente la diffusione sulle piattaforme digitali. È un’opzione aperta a chiunque, compresi i minori con più di quattordici anni. Inviare il materiale al Garante a questo scopo non costituisce reato, ma serve unicamente a permettere all’autorità di agire per la tutela della vittima.
Quando la condivisione di materiale intimo diventa reato?
La condivisione di materiale intimo senza il consenso della persona ritratta non è solo una violazione della privacy, ma un vero e proprio
È importante sottolineare che è del tutto irrilevante se la vittima avesse inizialmente acconsentito a essere fotografata o filmata; ciò che la legge punisce è la successiva diffusione non consensuale. La norma persegue non solo l’autore principale della diffusione, ma anche chiunque, dopo aver ricevuto il materiale, contribuisca a diffonderlo ulteriormente con lo scopo di danneggiare la vittima. La pena viene inoltre aumentata se il colpevole è il coniuge, un ex partner o una persona con cui la vittima ha avuto una relazione affettiva. Per agire penalmente, la vittima deve presentare una
Che tipo di risarcimento danni posso chiedere alla giustizia?
Oltre alla punizione del colpevole, la vittima di revenge porn ha il pieno diritto di ottenere un risarcimento del danno per tutto ciò che ha subito. L’azione civile permette di chiedere una compensazione economica per le conseguenze negative, che si dividono in due grandi categorie. La prima è il danno non patrimoniale, previsto dall’articolo 2059 del codice civile, che riguarda la sofferenza interiore e la lesione dei diritti fondamentali della persona. Questo danno comprende diverse voci:
- il patema d’animo, la vergogna e l’umiliazione subite;
- il danno alla reputazione e all’onore, gravemente compromessi dalla diffusione di contenuti intimi;
- l’eventuale danno psicofisico (come depressione o ansia) che deve essere certificato da un medico;
- il peggioramento della qualità della vita, che costringe a cambiare abitudini e a rinunciare a relazioni sociali.
Un esempio pratico può chiarire come viene calcolato. Un tribunale ha riconosciuto a una giovane vittima un risarcimento di 25.000 euro, considerando la sua età e il fatto che l’immagine era circolata in una chat di coetanei in un piccolo centro, amplificando così il pregiudizio e la gogna mediatica.
La seconda categoria è il danno patrimoniale, regolato dall’articolo 2043 del codice civile, che copre le perdite economiche concrete e dimostrabili. Se, ad esempio, la vittima viene licenziata dal proprio posto di lavoro a causa dello scandalo generato dalla diffusione del materiale, può chiedere il risarcimento per la perdita dello stipendio. Rientrano in questa categoria anche tutte le spese sostenute a causa dell’illecito, come i costi per l’assistenza legale o per le cure psicologiche necessarie a superare il trauma. A differenza del danno non patrimoniale, quello patrimoniale deve essere provato in modo specifico, documentando ogni singola perdita economica.