Rogito, la sorpresa è servita: spese extra a carico del venditore

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La Cassazione lo conferma: le spese deliberate prima del rogito toccano a chi vende. Ma l’acquirente rischia di dover anticipare i soldi e poi rivalersi.

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L’acquisto di un immobile può nascondere insidie economiche che emergono solo dopo la firma del contratto. Una delle più comuni riguarda le spese condominiali straordinarie, come la sostituzione della caldaia. Una recentissima sentenza della Cassazione, la n. 24236 del 30 agosto 2025, fa chiarezza su un punto fondamentale: se i lavori sono stati approvati dall’assemblea prima del rogito, il conto spetta al venditore. Tuttavia, a causa di un meccanismo di solidarietà, spesso è l’acquirente a ricevere la richiesta di pagamento dal

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condominio, innescando un potenziale contenzioso per recuperare le somme.

Chi paga i lavori approvati prima della vendita?

La Suprema Corte di Cassazione ha stabilito un principio inderogabile: l’obbligazione di partecipare alle spese condominiali sorge nel momento in cui viene approvata la delibera che dispone i lavori. Di conseguenza, a dover sostenere i costi di innovazioni, manutenzione straordinaria o ristrutturazioni è chi risulta proprietario dell’unità immobiliare in quel preciso istante. Non ha alcuna importanza se il pagamento viene richiesto mesi dopo o se i lavori vengono materialmente eseguiti quando il nuovo proprietario si è già insediato. La legge impone che il debito gravi sul venditore, anche se la delibera è stata adottata pochi giorni prima della stipula dell’atto definitivo.

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Cosa succede se i lavori vengono eseguiti dopo il rogito?

Il venditore non può sottrarsi al pagamento sostenendo che a beneficiare dell’intervento (ad esempio, una nuova caldaia più efficiente) sarà esclusivamente l’acquirente. La Cassazione ha respinto categoricamente questa linea difensiva. Il momento che determina la titolarità del debito è quello della decisione assembleare, che cristallizza la situazione e imputa la spesa a chi in quel momento fa parte del condominio. Questo vale sia nel caso in cui il venditore abbia omesso di informare l’altra parte di una delibera già esistente al momento del contratto preliminare, sia nel caso in cui la decisione venga presa nel lasso di tempo che intercorre tra il preliminare e il rogito definitivo.

Perché l’amministratore può chiedere i soldi all’acquirente?

Qui si annida la vera trappola per chi compra. Nonostante la legge individui nel venditore il debitore principale, l’articolo 63 delle disposizioni di attuazione del Codice civile introduce il principio di solidarietà passiva. In base a questa norma, l’amministratore del condominio può esigere il pagamento delle quote insolute dall’acquirente per i contributi relativi all’anno del rogito e a quello precedente. L’acquirente è quindi obbligato a pagare per debiti non suoi, per poi avere il diritto di rivalsa, ovvero il diritto di chiedere al venditore la restituzione di quanto versato. Questo meccanismo, pensato per tutelare le casse del condominio, costringe il nuovo proprietario ad anticipare somme non preventivate e, potenzialmente, a iniziare un’azione legale per recuperarle.

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Come può tutelarsi l’acquirente da queste “sorprese”?

L’unico modo per evitare brutte sorprese è la prevenzione. È fondamentale che l’acquirente, prima del rogito, si faccia consegnare dal venditore o dall’amministratore i verbali delle ultime assemblee condominiali per verificare l’esistenza di delibere su lavori straordinari. La soluzione più sicura è inserire nel contratto di compravendita un accordo specifico e dettagliato. Le parti possono pattuire che sia l’acquirente a farsi carico della spesa, magari ottenendo uno sconto sul prezzo di vendita. In assenza di un accordo chiaro, per evitare il rischio di dover anticipare le somme, l’acquirente potrebbe chiedere che una parte del prezzo venga trattenuta dal notaio a titolo di garanzia, fino all’avvenuto saldo del debito da parte del venditore nei confronti del condominio.

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