La rivoluzione dei buoni pasto: più soldi in busta paga e meno tasse

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Il Governo studia l’aumento dei buoni pasto a 10€ esentasse. Una misura anti-inflazione per sostenere i salari e il potere d’acquisto delle famiglie.

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Una spinta concreta al potere d’acquisto! In un contesto economico segnato dall’inflazione e dalla necessità di sostenere i salari, il Governo sta valutando una misura che potrebbe portare un beneficio diretto e tangibile nelle tasche di milioni di italiani. Sul tavolo dei tecnici, in vista della prossima Legge di Bilancio, è tornata con forza la proposta di innalzare la soglia di esenzione fiscale per i buoni pasto elettronici dagli attuali 8 euro a 10 euro. Un’iniziativa che nasce dalla consapevolezza, espressa dalla stessa Premier

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Giorgia Meloni, che “welfare aziendale aiuta a distribuire meglio la ricchezza prodotta”. Non si tratta di un’idea astratta, ma di un progetto concreto già formalizzato in un disegno di legge e ora al vaglio decisivo del Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF).

Il progetto della senatrice Mancini: non solo ticket

La principale promotrice di questa innovazione è la senatrice di Fratelli d’Italia, Paola Mancini, componente della commissione Lavoro a Palazzo Madama. Il suo disegno di legge, che modifica l’articolo 51 del TUIR (Testo Unico delle Imposte sui Redditi), mira a rendere il valore del buono pasto più adeguato al costo reale di un pasto oggi, eroso dall’impennata dei prezzi degli ultimi anni.

Ma l’orizzonte del suo Pdl è più ampio e disegna un quadro di welfare moderno e attento alle esigenze reali. Oltre ai buoni pasto, la proposta include altri due interventi significativi:

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  1. sostegno agli studenti fuorisede: si prevede di rendere esente da tassazione il rimborso delle spese di affitto che un’azienda può erogare a un dipendente per i figli che frequentano corsi universitari o degli ITS Academy. La condizione è che la sede degli studi sia distante oltre 50 km dalla residenza o richieda più di 60 minuti con i mezzi pubblici;
  2. aggiornamento dell’indennità di trasferta: un intervento quasi storico che mira ad attualizzare gli importi dell’indennità di trasferta, fermi incredibilmente al 1986 e ancora espressi in lire nel Testo Unico. La proposta prevede una semplice rivalutazione secondo l’indice Istat, che porterebbe l’importo giornaliero da circa 50 euro attuali a ben 131 euro, un adeguamento che riflette decenni di cambiamenti nel costo della vita.

L’impatto economico: un circolo virtuoso per il PIL

L’aumento del valore dei buoni pasto non è solo un aiuto per i lavoratori, ma un vero e proprio motore per l’economia nazionale. Secondo una ricerca della SDA Bocconi, il settore genera un valore pari allo

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0,75% del PIL nazionale, sostenendo un ecosistema di 220.000 posti di lavoro tra impiego diretto e indotto. Oggi, ben 3,5 milioni di lavoratori utilizzano questo strumento. I dati del 2023 sono eloquenti: i consumi pagati con i buoni pasto hanno generato un gettito IVA per lo Stato di 419 milioni di euro.

Fabrizio Ruggiero, Amministratore Delegato di Edenred Italia, ha sottolineato come questa misura sia strategica e si ripaghi da sola. Ha ricordato un precedente illuminante: nel 2015, l’innalzamento del valore da 5 a 7 euro costò allo Stato 58 milioni di euro, ma generò un beneficio netto per la finanza pubblica di 189 milioni, grazie a un extra gettito IVA di 248 milioni. Un investimento, non una spesa.

Il Welfare come seconda busta paga

L’investimento delle aziende in welfare sta crescendo in modo esponenziale. Secondo l’Osservatorio Welfare di Edenred, nel 2024 le imprese hanno erogato in media 1.000 euro a lavoratore in benefit, con un incremento del 10% rispetto al 2023. Se a questa cifra si sommano i buoni pasto, si arriva a un valore annuo di circa

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2.700 euro per un lavoratore del ceto medio. Questo importo equivale, di fatto, a una o due mensilità nette aggiuntive, rappresentando un pilastro fondamentale del reddito familiare.

Conclusioni

In un’economia caratterizzata da alta inflazione e rigidità salariale, gli strumenti di welfare aziendale defiscalizzati non sono semplici benefit, ma diventano una leva di politica economica. Permettono di aumentare il reddito reale dei lavoratori in modo mirato ed efficiente, stimolando al contempo i consumi e generando un ritorno positivo per le casse dello Stato attraverso l’IVA.

La proposta di adeguare i buoni pasto e le altre misure di welfare rappresenta un approccio intelligente e pragmatico alla congiuntura economica attuale. È una classica situazione “win-win-win“:

Vince il lavoratore, che vede aumentare il proprio potere d’acquisto senza attendere i complessi rinnovi contrattuali.

Vince l’azienda, che può contare su strumenti efficaci per aumentare la produttività e la soddisfazione del personale, investendo sulle risorse umane.

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Vince lo Stato, che, come dimostrano i dati, incassa più di quanto investe in termini di mancate entrate fiscali, grazie alla spinta sui consumi e al conseguente aumento del gettito IVA.

L’ostacolo, come sempre, è la “bollinatura” del MEF, che deve fare i conti con gli equilibri di bilancio. Tuttavia, non considerare questa misura un investimento a medio-lungo termine, ma solo un costo immediato, sarebbe una visione miope che non coglie le potenzialità di un sistema di welfare moderno per sostenere l’intera economia del Paese.

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