Ponte sullo stretto, arriva lo stop dagli Usa: "Non è spesa militare Nato"
Stop dagli USA al Ponte sullo Stretto nei costi della Difesa. L’ambasciatore Nato Whitaker parla di “contabilità creativa” e gela il governo italiano.
Una doccia gelata, temuta da settimane a Roma, è arrivata direttamente da Washington. Il Ponte sullo Stretto, l’opera da 13,5 miliardi di euro fortemente voluta dal vicepremier Matteo Salvini, non potrà essere inserito nel conteggio delle spese militari per aiutare l’Italia a raggiungere il nuovo e ambizioso obiettivo del 5% del PIL richiesto dalla Nato. A mettere la parola fine all’ipotesi è stato, senza mezzi termini, l’ambasciatore degli Stati Uniti presso l’alleanza atlantica, Matthew Whitaker.
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La bocciatura di Washington: “Niente contabilità creativa”
Intervistato dall’agenzia Bloomberg, l’ambasciatore Whitaker, repubblicano ed ex ministro della Giustizia durante il primo mandato di Trump, ha stroncato ogni velleità di “maquillage ragionieristico”. Gli Stati Uniti, ha chiarito, sono fermamente contrari a qualsiasi forma di
Questo, ha spiegato il diplomatico, esclude infrastrutture come “ponti che non hanno un’importanza militare” o persino scuole che solo in scenari “fantasiosi” potrebbero avere un’utilità legata alla difesa. Alla domanda diretta sul Ponte sullo Stretto, Whitaker ha replicato che seguirà la vicenda “molto attentamente”, ricordando che la Nato ha istituito un apposito meccanismo di sorveglianza per verificare la natura degli investimenti degli stati membri.
La retromarcia del governo e le precedenti dichiarazioni
La posizione americana, netta e inequivocabile, ha costretto il governo italiano a una rapida retromarcia. Fonti di Palazzo Chigi, contattate da Repubblica, escludono ormai che si possa procedere su quella strada. La decisione di Washington crea un notevole imbarazzo per l’esecutivo, soprattutto alla luce delle dichiarazioni passate. Meno di un mese fa, lo stesso Salvini aveva parlato di un “evidente
Lo scenario politico: Meloni tra Macron e le opposizioni
Questa frenata internazionale si inserisce in un contesto politico complesso per la premier Giorgia Meloni. Domani mattina parteciperà a distanza a una call convocata da Emmanuel Macron, in un formato che vedrà presente anche il cancelliere tedesco Friedrich Merz, con cui condivide la contrarietà al progetto franco-britannico di inviare militari europei in Ucraina. Sul fronte interno, invece, le opposizioni chiedono che la premier riferisca in Parlamento sui principali dossier internazionali, da Kiev a Gaza. Il presidente del Senato, Ignazio La Russa, ha aperto alla possibilità, ma è più probabile che a presentarsi a Palazzo Madama siano i ministri Antonio Tajani e Tommaso Foti.
La regola generale: i patti si rispettano nella sostanza, non solo nella forma
Negli accordi internazionali, specialmente quelli di natura militare e strategica come la Nato, i tentativi di aggirare gli impegni con artifizi contabili hanno vita breve. La credibilità di un alleato si misura sulla trasparenza e sulla coerenza delle sue azioni. Classificare un’infrastruttura civile come spesa per la difesa, senza una palese e inequivocabile funzione militare, viene percepito non come un atto di furbizia, ma come una debolezza che mina la fiducia all’interno dell’alleanza stessa.
Questo video approfondisce la figura e il ruolo di Matthew Whitaker, l’ambasciatore americano alla Nato le cui parole sono state determinanti nella vicenda.