Maltrattamenti a scuola, la Cassazione: anche chi assiste alla violenza è una vittima
La Suprema Corte chiarisce: maltrattamenti in classe anche per chi assiste. Violenza fisica o psicologica incompatibile con l’educazione. Danni da risarcire ai bimbi testimoni.
Una sentenza destinata a fare da spartiacque nel mondo della scuola e nella tutela dei minori. Con la decisione n. 30123 depositata oggi, la Corte di Cassazione ha stabilito due principi di enorme portata: strattonare o minacciare gli alunni, creando un clima di paura, integra il più grave delitto di maltrattamenti e non quello di abuso dei mezzi di correzione. Inoltre, e questa è la novità più significativa, il reato si configura anche per chi ha “solo” assistito alle violenze, diventando a tutti gli effetti una vittima con diritto al risarcimento.
La vicenda riguarda due insegnanti di una scuola dell’infanzia, il cui ricorso è stato rigettato, e apre un nuovo capitolo sulla responsabilità educativa e sulla protezione psicologica dei bambini in classe.
Indice
Il principio della “violenza assistita” e il diritto al risarcimento
Il punto più innovativo della sentenza riguarda il riconoscimento della cosiddetta “violenza assistita”. La Suprema Corte ha accolto il ricorso dei genitori di una bambina che, pur non essendo stata oggetto diretto di violenze fisiche, era stata costretta ad assistere quotidianamente ai comportamenti illeciti delle maestre nei confronti dei suoi compagni. Secondo i giudici, essere testimoni di tali atti è di per sé una fonte di danno.
La Corte d’appello, pur riconoscendo la rilevanza di questa forma di maltrattamento (già esplicitata dalla legge “Codice Rosso” del 2019), aveva inspiegabilmente negato il
Maltrattamenti, non “abuso dei mezzi di correzione”
Gli ermellini hanno respinto con fermezza la richiesta delle insegnanti di derubricare la loro condotta a semplice “abuso dei mezzi di correzione” (art. 571 del codice). La Corte ha confermato che in questo caso sussistono tutti gli elementi dei maltrattamenti: l’abitualità dei comportamenti e l’aver generato uno stato di sofferenza e umiliazione nei bambini attraverso un clima vessatorio generale. Una conclusione, si legge in sentenza, resa “vieppiù evidente” dal fatto che le vittime erano bambini in età prescolare, quindi estremamente vulnerabili.
I giudici hanno ribadito un orientamento ormai consolidato: l’uso della violenza, fisica o psicologica, è sempre incompatibile con qualunque finalità educativa. Il potere correttivo non può mai deprimere lo sviluppo armonico della personalità del minore. L’abuso previsto dall’articolo 571 presuppone un uso eccessivo di mezzi
Dalla chat di classe alle telecamere: la vicenda
Il caso era emerso grazie alle segnalazioni di alcuni genitori in una chat di classe, preoccupati per i racconti dei figli. Le dichiarazioni avevano poi trovato pieno riscontro sia nelle testimonianze di diversi bambini, sia nelle registrazioni effettuate con una telecamera installata su autorizzazione della magistratura. Con la sentenza di oggi, la Corte di cassazione ha messo un punto fermo sulla qualificazione dei fatti e, soprattutto, ha esteso il perimetro della tutela a tutti i bambini esposti al clima di paura instaurato in classe.
La regola generale: la tutela del minore è un dovere collettivo
La sentenza stabilisce un principio di responsabilità allargata: in un ambiente educativo, il benessere di un bambino non è un fatto isolato. Un’azione violenta non danneggia solo la vittima diretta, ma avvelena l’intero contesto, ledendo la serenità e lo sviluppo psicologico di tutti i minori presenti. La scuola deve essere un luogo sicuro in ogni suo aspetto, e chi educa ha la responsabilità non solo delle proprie azioni, ma anche del clima emotivo che instaura nella comunità che gli è affidata.