Sanità, arriva lo scudo per i medici: responsabili solo per colpa grave
Via libera allo scudo per i sanitari: la responsabilità in sede giudiziaria scatta solo per colpa grave e se non si seguono le linee guida. L’obiettivo è fermare la medicina difensiva.
Il Consiglio dei ministri ha dato il via libera alla tanto attesa riforma delle professioni sanitarie, introducendo un provvedimento destinato a cambiare radicalmente il rapporto tra medico, paziente e aule di tribunale. Arriva il cosiddetto “scudo”, un meccanismo che limita la responsabilità dei sanitari in caso di lesioni o morte del paziente ai soli casi di colpa grave. La norma, unica parte della riforma a entrare in vigore subito dopo l’approvazione della legge, è la risposta del governo al dilagante fenomeno della “medicina difensiva”, una pratica che costa al sistema sanitario circa 11 miliardi di euro l’anno e allunga a dismisura le liste d’attesa.
Indice
Come funziona lo scudo e il ruolo del giudice
La nuova legge modifica il codice e la legge Gelli-Bianco del 2017. Stabilisce che un medico, un infermiere o un altro professionista sanitario potrà essere chiamato a rispondere delle sue azioni davanti a un giudice solo se la sua condotta sarà giudicata affetta da “colpa grave”. Questa protezione, tuttavia, non è incondizionata: vale solo a patto che il sanitario abbia seguito le linee guida ufficiali o le buone pratiche clinico-assistenziali previste per il caso specifico, che vengono definite “inderogabili”.
La novità più significativa è che, per la prima volta, i giudici avranno l’obbligo di valutare la presunta colpa tenendo conto del contesto reale in cui i sanitari si trovano a operare. La legge elenca una serie di “fattori esimenti” che possono aver influito sull’errore, come la
L’obiettivo: fermare la “medicina difensiva” da 11 miliardi
Il governo, pur non amando il termine “scudo” perché potrebbe suggerire un’immunità totale, ha fortemente voluto questa norma per arginare la “medicina difensiva”. Si tratta della tendenza, sempre più diffusa tra i medici per paura di denunce, a prescrivere esami costosi, spesso inutili e invasivi, al solo scopo di tutelarsi legalmente. Questa pratica, oltre a gravare sui bilanci delle ASL, intasa il sistema e ritarda le cure per chi ne ha davvero bisogno. I dati, del resto, parlano chiaro: secondo il sindacato Anaao Assomed, un medico su tre ha subito una denuncia, ma solo il 3% viene poi effettivamente condannato.
Luci e ombre: le reazioni del mondo medico
La norma è stata accolta con favore da gran parte del mondo medico. Per Filippo Anelli, presidente dell’Ordine dei Medici, “si restituisce ai medici la giusta serenità”. Tuttavia, non mancano le voci caute. Guido Quici, presidente del sindacato Cimo-Fesmed, sottolinea un’assenza pesante nel testo:
Oltre lo scudo: la riforma per fermare la fuga dal Ssn
Il disegno di legge non si ferma allo scudo. Contiene anche una delega che impegna il governo, entro dicembre 2026, a emanare una serie di decreti per rendere più attrattivo il Servizio Sanitario Nazionale e arginare la fuga di medici e infermieri. Tra le misure in cantiere ci sono forme di impiego più flessibili per gli specializzandi, il taglio della burocrazia, sistemi premianti legati alla riduzione delle liste d’attesa e una revisione della formazione dei manager ospedalieri. Spicca, inoltre, la trasformazione del corso per diventare medici di famiglia, che assumerà il livello di un percorso universitario a tutti gli effetti.
Conclusione: una riforma a due velocità tra urgenze e incognite
La riforma sanitaria si presenta come un intervento a due velocità. Da un lato, una misura d’urto e di impatto immediato come lo “scudo”, pensata per rispondere all’emergenza della medicina difensiva e del contenzioso legale. Dall’altro, un progetto a lungo termine per ristrutturare le carriere e la formazione, i cui frutti si vedranno solo tra anni. Il successo della parte più urgente, tuttavia, poggia su un’incognita fondamentale. Affidando la definizione di “colpa grave” alla sensibilità dei singoli giudici, la legge trasferisce di fatto il suo punto più delicato dalle aule parlamentari a quelle dei tribunali. Saranno le future sentenze, una per una, a tracciare il confine reale tra un errore scusabile e una negligenza da sanzionare.