Odio online, l'idra non muore: ecco "Mia Moglie 2" su Facebook
Chiuso il gruppo “Mia Moglie”, ne spunta subito un altro. Lo scambio di foto private si sposta su Messenger e Telegram per aggirare i controlli.
L’indignazione mediatica e la successiva chiusura della pagina “Mia Moglie” avevano dato l’illusione di una vittoria contro la violenza e il sessismo online. Un’illusione durata pochissimo. Questo fenomeno tossico, infatti, non è stato sradicato: si è semplicemente riorganizzato, diventando più astuto. È emersa una nuova cloaca virtuale, “Mia Moglie 2 – Incontri Social”, un gruppo Facebook con quasi 9.000 iscritti che dimostra la natura carsica dell’odio misogino. Un’idra dalle molte teste che, una volta tagliata, ne fa ricrescere subito un’altra, più scaltra nel nascondersi nelle pieghe della rete, sfruttando l’inefficacia dei controlli delle piattaforme e celando tra i suoi membri professionisti e uomini apparentemente insospettabili.
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Come operano i nuovi gruppi e perché sono più difficili da fermare?
Il meccanismo della condivisione non consensuale di immagini di donne si è fatto più sofisticato per eludere la sorveglianza. Il gruppo “Mia Moglie 2 – Incontri Social”, attivo da ben 12 anni ma tornato a crescere vertiginosamente, adotta una strategia a doppio livello. La bacheca pubblica del gruppo chiuso funge da innocua vetrina, un luogo di aggregazione dove le regole di facciata vietano la pornografia per non allertare gli algoritmi di Meta.
Il vero mercato delle immagini, lo scambio illegale di foto rubate alla privacy di mogli, compagne ed ex fidanzate, avviene altrove. Le conversazioni sulla bacheca sono solo un preambolo: alla richiesta di materiale, la risposta è quasi sempre “scambio su
Qual è il profilo degli iscritti a queste community tossiche?
L’idea che questi spazi siano frequentati solo da emarginati sociali viene smentita da una realtà ben più inquietante. L’inchiesta giornalistica che ha portato alla luce il gruppo ha rivelato una composizione sociale trasversale e allarmante. Tra gli oltre 8.800 membri non si trovano solo profili anonimi, ma anche professionisti affermati.
Tra gli iscritti figurano infatti un manager, un creator digitale e persino un avvocato penalista. La scoperta di un uomo di legge all’interno di una community dove si commettono reati come la diffusione illecita di immagini e la violazione della privacy è la prova più amara di come la misoginia sia profondamente radicata nella nostra società, anche a livelli insospettabili. Si tratta di uomini che conducono una doppia vita, rispettabili cittadini di giorno e complici di una cultura d’odio di notte.
Qual è l’atteggiamento degli uomini all’interno del gruppo?
All’interno di questo spazio protetto, la cui porta d’ingresso viene aperta con colpevole leggerezza dagli amministratori, si scatena un sessismo virulento, spesso mascherato da vittimismo. I commenti e i post rivelano un profondo disprezzo per la figura femminile. Le donne vengono chiamate “donnucole”, accusate di essere venali, superficiali e di essersi “montate la testa”, meritevoli quindi di essere umiliate.
Richieste esplicite come “chi manda moglie e figlia?” si alternano a lamentele di uomini respinti che si sentono in diritto di sfogare la propria frustrazione violando l’intimità altrui. Emerge una cultura tossica in cui l’oggettificazione del corpo femminile è la norma e la condivisione non consensuale di immagini private è vista come un atto goliardico, se non addirittura legittimo.
L’azione di contrasto delle autorità e delle piattaforme è efficace?
La realtà dimostra che la risposta repressiva è perennemente in ritardo. La chiusura di una pagina Facebook in seguito a uno scandalo mediatico si rivela essere un semplice palliativo, non una soluzione. La facilità con cui il nuovo gruppo continua a prosperare, guadagnando centinaia di iscritti in pochi giorni, è un atto d’accusa contro l’inefficacia dei sistemi di controllo di Meta.
Sebbene la Procura di Roma abbia coraggiosamente aperto un fascicolo per revenge porn sul primo caso, il fenomeno si rigenera e si adatta, sfruttando le falle del sistema. La migrazione verso piattaforme di messaggistica criptata come Telegram dimostra che i gestori di questi network sono sempre un passo avanti, capaci di muoversi in quelle zone d’ombra normative e tecnologiche dove la legge fatica ad arrivare, garantendo ai partecipanti un’inaccettabile sensazione di impunità.