I premi sportivi fanno reddito: così l’Agenzia Entrate sconcerta atleti e tecnici

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Con la consulenza n. 9/2025 l’Agenzia qualifica i premi sportivi come parte della retribuzione, tassandoli secondo il contratto di lavoro. Ma gli esperti contestano: la legge – specialmente dopo la recente riforma del settore – li considera “redditi diversi” legati all’alea del risultato.

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Arriva dal Fisco una risposta destinata a far discutere tutti gli operatori coinvolti nel mondo dello sport dilettantistico: secondo l’interpretazione fornita dall’Agenzia delle Entrate nella consulenza giuridica n. 9 del 15 luglio 2025, i premi sportivi fanno reddito in quanto devono essere tassati come lo stipendio, se vengono inseriti nel contratto, anziché con la ritenuta secca del 20%.

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Quanto diremo riguarda molto da vicino sia gli atleti tesserati che percepiscono compensi di questo tipo, sia i tecnici incaricati, come gli allenatori e gli istruttori sportivi delle varie discipline: in base alla nuova interpretazione ufficiale del Fisco, subiranno una tassazione molto più pesante su questi emolumenti, che sono variabili e imprevedibili a priori in quanto legati al risultato della gara o all’esito della competizione sportiva cui partecipano.

Cosa cambia per la tassazione dei premi sportivi

Nello specifico, l’Agenzia delle Entrate ha stabilito che i premi corrisposti dalle Associazioni Sportive Dilettantistiche (ASD) e dalle Società Sportive Dilettantistiche (SSD) ad atleti e tecnici tesserati, quando avvengono nell’ambito di un rapporto di lavoro sportivo, non godono di un regime fiscale agevolato. Al contrario, vanno trattati come parte variabile della retribuzione, tassati secondo le regole ordinarie del contratto (dipendente, autonomo o co.co.co.), e – se il lavoratore è autonomo con partita IVA – addirittura assoggettati a IVA.

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È bene ricordare che fino a questa presa di posizione i premi legati ai risultati sportivi sembravano sempre destinati a una tassazione agevolata e “separata”, con una ritenuta del 20% definitiva, in quanto applicata a titolo d’imposta, e non di acconto.

Ma ora il Fisco cambia le carte in tavola e ribalta queste certezze, che sembravano acquisite. Adesso la nuova interpretazione ufficiale dell’Agenzia delle Entrate stabilisce che i premi corrisposti dalle ASD e SSD nell’ambito di un rapporto di lavoro sportivo non possono essere considerati “redditi diversi”. Al contrario, se c’è un contratto di lavoro con il percettore, diventano a tutti gli effetti una componente variabile della sua retribuzione.

Un’interpretazione che smentisce la legge?

Quella dell’Agenzia Entrate è una presa di posizione inaspettata, che ha lasciato sconcertati molti operatori del settore, perché sembra ribaltare il senso stesso della recente riforma del lavoro sportivo. La relazione illustrativa al D.Lgs. 163/2022 (che ha introdotto l’art. 36, comma 6-quater, del D.Lgs. 36/2021), chiariva, infatti, che i premi sportivi hanno

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natura aleatoria e non retributiva: si tratta di somme legate al raggiungimento di risultati sportivi incerti, non al mero svolgimento dell’attività.

Perciò la scelta dell’Amministrazione finanziaria sembra contrastare con la ratio legis (lo spirito delle norme sul lavoro sportivo) e disorienta gli addetti. Per gli esperti del settore, invece, i premi sportivi dovrebbero rientrare fiscalmente tra i “redditi diversi” con applicazione della ritenuta secca del 20% a titolo d’imposta, e non confondersi con la retribuzione ordinaria, che, in base al meccanismo di scaglioni ed aliquote IRPEF crescenti, porterebbe ad una tassazione più gravosa (ad esempio, se il reddito complessivo supera i 50mila euro annui, l’eccedenza viene tassata al 43%).

Le implicazioni pratiche e i problemi applicativi

Questo cambio di rotta non è una questione teorica, ma ha conseguenze dirette e pesanti per chi opera nel settore:

Molti autorevoli commentatori sottolineano che il rischio di questa posizione delle Entrate che riconduce i premi al reddito omnicomprensivo del percettore, sottoponendoli alla tassazione piena, è duplice: da un lato

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si disincentivano le ASD e le SSD a premiare economicamente gli atleti, ed anche i collaboratori tecnici, dall’altro si introduce una prassi che potrebbe tradursi in accertamenti fiscali onerosi e così incrementare i futuri contenziosi tributari.

Il paradosso che abbiamo segnalato è evidente: proprio nel settore in cui il premio dovrebbe valorizzare il merito sportivo e l’alea del risultato, l’Amministrazione fiscale rischia di trasformarlo in un mero “bonusretributivo, trattandolo fiscalmente come tale. Una lettura che – secondo gli operatori – snatura la funzione del premio sportivo e rischia di frenare la crescita dello sport dilettantistico: un fenomeno che coinvolge milioni di persone in tutta Italia, come praticanti e tesserati nelle varie discipline sportive.

Conclusione

I premi sportivi non dovrebbero essere collegati alla prestazione, ma al risultato. Dunque, dovrebbero restare “redditi diversi” e non, invece, venire assimilati a “redditi di lavoro”, come l’Agenzia delle Entrate auspica, quando da un lato riconosce genericamente l’ambito dei

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“redditi diversi” (premi “puri” da gara, tassati con 20% di ritenuta a titolo d’imposta) ma dall’altro lato e in pratica lo limita fortemente, ed anzi lo esclude del tutto, quando il premio è erogato nell’ambito di un rapporto di lavoro sportivo già in essere con contratto, come quasi sempre avviene con gli atleti tesserati e con i tecnici incaricati: qui, secondo l’interpretazione delle Entrate, i premi dovrebbero essere assoggettati alla tassazione ordinaria (più IVA, se il percettore è un autonomo).

La visione proposta nella consulenza giuridica n. 9/2025 dell’Agenzia delle Entrate di cui abbiamo parlato (e che ti riportiamo, in forma integrale, nel box sotto questo articolo) imporrebbe di estendere il regime più “pesante” di tassazione sostanzialmente a tutti i premi erogati ai tesserati, a prescindere dal tipo di rapporto instaurato con l’associazione o la società sportiva. La speranza, in questo clima di incertezza, è che un chiarimento ufficiale ponga fine a questo conflitto interpretativo, per evitare che la burocrazia fiscale metta in ginocchio un settore che si basa sulla competizione e sulla meritocrazia del risultato, piuttosto che sul dato formale della retribuzione contrattuale prestabilita o comunque riconosciuta e corrisposta.

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