Auto aziendale, stretta del Fisco: ricariche a casa e optional, tutti i costi che non riducono le tasse
L’Agenzia delle Entrate chiarisce: i rimborsi per la ricarica domestica e i pagamenti per gli optional non abbattono il fringe benefit. Ecco cosa cambia.
Indice
La transizione ecologica e il paradosso della ricarica
Il contesto è quello di una spinta, anche fiscale, verso la mobilità sostenibile. Dal 1° luglio 2025, il calcolo del fringe benefit si baserà sul 50% delle tabelle ACI per i veicoli tradizionali, ma la percentuale scende drasticamente al 10% per le auto puramente elettriche e al 20% per le ibride plug-in. Un incentivo potente che sta orientando le flotte aziendali.
Proprio su questo fronte interviene la risposta 237/2025. L’Agenzia conferma che la “recharge card”, fornita dall’azienda per fare il pieno di energia alle colonnine pubbliche, rientra pienamente nel valore forfettario del fringe benefit, esattamente come la vecchia scheda carburante per benzina e diesel. Su questo costo, quindi, il dipendente non paga tasse aggiuntive.
Il paradosso emerge però quando si confronta questa apertura con la chiusura totale verso la ricarica domestica. Richiamando una precedente pronuncia (la 421/2023), le Entrate ribadiscono che qualsiasi rimborso erogato dall’azienda per l’energia consumata a casa del dipendente per ricaricare l’auto è da considerarsi reddito di lavoro dipendente e, come tale, va interamente tassato. Una contraddizione evidente, che incentiva l’uso di una rete pubblica ancora limitata e penalizza la soluzione più comoda e diffusa.
Addebiti al dipendente: un’amara sorpresa senza sconti fiscali
Il principio di rigidità viene confermato ed esteso da entrambe le risposte su un altro punto fondamentale: gli addebiti in busta paga. Sia che si tratti di somme trattenute al dipendente per i chilometri percorsi oltre una certa soglia ad uso privato, sia che riguardino il costo di
La motivazione si basa sulla natura puramente forfettaria delle tabelle ACI. Secondo l’Agenzia, queste tabelle includono già tutti i costi di gestione del veicolo (come bollo, assicurazione e carburante/energia), ma non contemplano elementi extra come gli optional. Di conseguenza, il contributo economico del dipendente per avere un’auto più accessoriata diventa una spesa “a perdere” dal punto di vista fiscale, che non genera alcun beneficio e viene semplicemente trattenuta dal netto in busta paga.
Conclusioni: una visione rigida che frena la modernità?
Le interpretazioni dell’Agenzia delle Entrate, sebbene ancorate a un’applicazione letterale delle norme, mostrano una visione che appare poco al passo con i tempi e con la realtà operativa. Penalizzare la ricarica domestica in un’era di transizione elettrica significa ignorare la principale modalità di approvvigionamento energetico e creare un ostacolo ingiustificato.
Allo stesso modo, considerare il contributo del dipendente per gli optional come un elemento fiscalmente irrilevante appare punitivo. Se il lavoratore investe di tasca propria per un bene aziendale di cui usufruisce, sarebbe logico e più equo riconoscere questo esborso come una riduzione del valore del beneficio che riceve. La stretta aderenza al concetto di “forfait” si trasforma così in una barriera che penalizza le scelte individuali e la flessibilità, rendendo il sistema di welfare aziendale più rigido e, in definitiva, meno vantaggioso.