Costruire una scuola richiede fino a 6,5 anni tra ritardi e costi fuori controllo
Scuole, cantiere infinito: 6,5 anni di sprechi e burocrazia. Un’indagine svela il fallimento dell’edilizia scolastica: tempi biblici, ritardi record e costi fuori controllo. Il PNRR rischia di annegare.
Un’odissea che può durare fino a sei anni e mezzo. Questo non è il tempo per un’impresa epica, ma il cronometro reale che scandisce la costruzione di una scuola in Italia. In un Paese dove il PNRR promette di rivoluzionare il volto delle infrastrutture pubbliche con miliardi di euro, un’impietosa indagine realizzata dal Cresme per il Consiglio Nazionale degli Architetti svela una realtà fatta di tempi di costruzione biblici, procedure farraginose e un’inefficienza sistemica che minaccia di vanificare ogni sforzo. Mentre si discute di sostenibilità e spazi innovativi, la macchina degli
Indice
Quanto tempo ci vuole davvero per una nuova scuola?
L’odissea burocratica e procedurale per la realizzazione di un’opera pubblica essenziale come un edificio scolastico emerge in tutta la sua drammaticità dai dati raccolti su un campione di 300 bandi pubblicati tra il 2015 e il 2024. L’indagine mostra che il percorso completo, dalla progettazione alla consegna, richiede in media 5,6 anni se si utilizza la formula del concorso di progettazione, un tempo che sale a 5,7 anni per gli appalti integrati e che raggiunge il picco sconcertante di 6,5 anni per le altre tipologie di bando. Questi numeri non sono semplici statistiche, ma rappresentano anni persi, risorse immobilizzate e, soprattutto, un fallimento nella programmazione. La fase di sola progettazione può richiedere da 2,6 a 3,6 anni, un tempo in cui le esigenze della comunità scolastica possono cambiare radicalmente, rendendo il progetto parzialmente obsoleto ancora prima che venga posata la prima pietra. Questa dilatazione temporale è il primo, inequivocabile sintomo di un sistema che non funziona, incapace di rispondere con efficienza e rapidità a un bisogno primario della collettività.
Perché i ritardi sono la norma e non l’eccezione?
L’analisi dei cantieri rivela un’inefficienza sistemica che si traduce in un allungamento cronico dei tempi di costruzione, con scostamenti rispetto alle previsioni iniziali che raggiungono picchi allarmanti. La ricerca evidenzia come, indipendentemente dalla procedura di gara scelta, i lavori sforino sistematicamente i tempi previsti. Per i concorsi di progettazione si passa da una previsione di 1,8 anni a una realtà di 2,3 anni. Per gli appalti integrati, la forbice è tra 1,9 e 2,1 anni. Il dato più grave riguarda le altre forme di bando, dove i tempi di cantiere possono subire un’impennata del 70% rispetto a quanto inizialmente contrattualizzato. Questo significa che i ritardi non sono un’eventualità, ma una certezza strutturale del sistema degli appalti pubblici. Dietro a questi slittamenti si celano costi imprevisti, contenziosi e, in ultima analisi, un enorme spreco di denaro pubblico. Un sistema che non riesce a rispettare le proprie stesse scadenze è un sistema fallimentare, che mette in discussione la capacità stessa dello Stato di portare a termine le opere che finanzia.
Qual è il paradosso dei concorsi di progettazione?
La qualità del progetto si conferma un fattore determinante per l’efficienza complessiva dell’opera, eppure le procedure che la favoriscono non sono le più utilizzate, evidenziando un paradosso tutto italiano. L’indagine dimostra che i concorsi di progettazione, pur essendo scelti per gli interventi più complessi e costosi (con un valore medio di 13,6 milioni di euro, superiore del 30% rispetto alle altre modalità), garantiscono tempi di progettazione significativamente inferiori: 2,6 anni, contro i 3,6 degli appalti integrati e i 3,2 degli altri bandi. Questo significa che investire nella qualità progettuale fin dall’inizio non solo assicura un risultato finale migliore, ma ottimizza anche i tempi. Nonostante questa evidenza, si continua a ricorrere massicciamente all’appalto integrato, una formula che, affidando progettazione ed esecuzione allo stesso soggetto, comprime la fase di ideazione e spesso porta a risultati qualitativamente inferiori e a maggiori problemi in fase esecutiva. La preferenza per procedure apparentemente più veloci sulla carta si scontra con una realtà che dimostra esattamente il contrario, premiando la rapidità a discapito della qualità e, alla fine, dell’efficienza.
Come il PNRR si scontra con questa realtà?
L’enorme flusso di investimenti previsti dal PNRR per l’edilizia scolastica, con circa 1,4 miliardi per 210 nuove scuole e oltre 6 miliardi per migliaia di interventi di riqualificazione, rischia di infrangersi contro un sistema di appalti e procedure palesemente inadeguato. L’iniezione di liquidità, seppur massiccia, non può risolvere da sola i problemi strutturali di lentezza e inefficienza che l’indagine ha messo a nudo. Il rischio concreto è che questi fondi vengano assorbiti dalla palude burocratica, generando ritardi ancora maggiori e facendo lievitare i costi, vanificando l’opportunità storica offerta dall’Europa. Le scadenze stringenti imposte dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza appaiono quasi irrealistiche se confrontate con i 6,5 anni medi necessari per completare un’opera. Senza una riforma radicale delle procedure, che metta al centro la qualità del progetto e la trasparenza, il PNRR rischia di trasformarsi da motore di sviluppo a catalizzatore di sprechi, finanziando cantieri infiniti invece di scuole sicure e moderne.
Quale futuro per il patrimonio scolastico italiano?
Il contesto in cui si inseriscono questi ritardi è quello di un patrimonio immobiliare vetusto e inadeguato, con oltre il 57% degli edifici scolastici italiani che hanno superato i 50 anni di età e solo l’1% costruito dopo il 2018. Questa fotografia impietosa rende ancora più grave l’inefficienza del sistema di realizzazione delle nuove opere. Ogni anno di ritardo nella costruzione di una nuova scuola è un anno in più che migliaia di studenti e docenti trascorrono in edifici vecchi, spesso non a norma dal punto di vista sismico ed energetico. La ricerca spinge a una riflessione non più procrastinabile che deve coinvolgere politica, legislatori e tecnici. È indispensabile ripensare l’intero processo dell’opera pubblica, rimettendo al centro l’interesse collettivo, la sicurezza, la transizione ecologica e la qualità degli spazi educativi. Continuare a operare con le attuali procedure significa condannare il Paese a un immobilismo cronico, sprecando risorse preziose e negando il futuro alle nuove generazioni.