Avvocati, via libera alla monocommittenza con compensi equi e autonomia
La riforma forense regola la monocommittenza per i giovani avvocati, garantendo autonomia e compensi minimi. Ma restano i nodi del welfare e dell’indipendenza.
Un avvocato che lavora in modo continuativo ed esclusivo per un unico altro avvocato o per un solo studio legale. È la monocommittenza, un rapporto di lavoro sempre più diffuso ma finora privo di una cornice normativa specifica. Il disegno di legge delega per la riforma della professione forense interviene per la prima volta in modo organico su questa materia, con l’obiettivo dichiarato di «favorire l’accesso al mercato del lavoro da parte del singolo professionista».
La nuova disciplina promette di bilanciare la “soggezione” economica del collaboratore con la salvaguardia dei principi cardine della professione:
Indice
La nuova disciplina: compensi garantiti, ma il welfare è assente
Il cuore della nuova normativa è la creazione di una «disciplina organica della professione … resa in regime di monocommittenza o di collaborazione continuativa».
Il testo della delega stabilisce con chiarezza il diritto del professionista a ricevere un compenso congruo e proporzionato alla quantità e qualità del lavoro svolto. Fondamentale è la previsione che tale compenso non possa comunque essere inferiore ai parametri ministeriali, ponendo un argine a possibili fenomeni di sfruttamento.
Tuttavia, la legge delega non dice nulla riguardo alle
A rendere questo modello economicamente attraente, soprattutto per i più giovani, è il forte incentivo fiscale offerto dal regime forfettario, che prevede una tassazione agevolata al 5% per i primi cinque anni di attività (e successivamente al 15%) per redditi fino a 85mila euro.
Un istituto controverso: i principi della professione alla prova
La monocommittenza per i professionisti iscritti ad Albi non è una novità assoluta. Era già stata ammessa come eccezione dalla riforma del lavoro dell’ex ministro Elsa Fornero (legge 92/2012), che altrimenti considerava le partite Iva in monocommittenza come un possibile indicatore di lavoro subordinato mascherato. Successivamente, anche il Jobs Act del governo Renzi (decreto legislativo 81/2015) aveva escluso le collaborazioni di iscritti ad Albi dall’applicazione della disciplina del lavoro subordinato.
Nonostante queste premesse, il tema presenta da sempre forti attriti con i principi fondamentali della professione legale. L’indipendenza del professionista, la personalità della prestazione e la supremazia delle regole deontologiche mal si conciliano con una forma di organizzazione del lavoro che può assumere contorni velatamente gerarchici.
Il legislatore della delega sembra consapevole di questa tensione. Non a caso, il testo sottolinea con forza, in un passaggio che appare quasi un’ammissione della delicatezza del tema, la necessità di garantire la «salvaguardia, nello svolgimento del rapporto, dell’autonomia, della libertà e dell’indipendenza intellettuale o di giudizio».
Il nodo della “parte debole” e la contraddizione sulle incompatibilità
Strettamente collegata al tema dell’indipendenza è la questione della remunerazione. Se da un lato la delega garantisce un compenso minimo, dall’altro non può intervenire sulle dinamiche di potere del rapporto.
Il professionista in monocommittenza resta la
La dimostrazione più evidente della difficoltà di “quadrare il cerchio” si trova, infine, in una palese contraddizione all’interno dello stesso disegno di legge. Mentre una parte della riforma promuove e regola la collaborazione “continuativa”, il capitolo sulle incompatibilità vieta all’avvocato di svolgere «qualsiasi altra attività di lavoro … autonomo svolta continuativamente o professionalmente». Un’apparente antinomia che i futuri decreti legislativi saranno chiamati a risolvere.