Rinuncia alla proprietà, stop dal 2026: la norma che blocca tutto

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La bozza della Legge di Bilancio 2026 introduce la nullità per gli atti di rinuncia alla proprietà. Una norma che li renderà impossibili. Corsa alle stipule.

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Si preannuncia una vera e propria corsa contro il tempo per migliaia di proprietari di immobili. L’obiettivo è stipulare atti di rinuncia alla proprietà entro il 31 dicembre 2025. Il motivo? Una norma “nascosta” nella bozza della Legge di Bilancio 2026, precisamente nel comma 12 dell’articolo 130, che rischia di rendere questa pratica di fatto impossibile. Se il testo, che il Governo presenterà in Parlamento, dovesse rimanere invariato, la strada per liberarsi di un bene immobile indesiderato diventerà improvvisamente sbarrata, ribaltando una recente e importante sentenza della Cassazione.

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Il via libera della Cassazione ad agosto

Solo pochi mesi fa, l’11 agosto, la Cassazione a Sezioni unite aveva messo un punto fermo sulla questione. Con la decisione 23093 (menzionata su «Il Sole 24 Ore» del 13 agosto), i giudici supremi hanno sancito la piena legittimità degli atti di rinuncia al diritto di proprietà immobiliare.

L’effetto automatico di tale atto, come previsto dall’articolo 827 del Codice civile, è il passaggio della titolarità dell’immobile rinunciato direttamente allo Stato.

Il giudice della legittimità aveva smontato le argomentazioni dell’Agenzia del Demanio e del Ministero dell’Economia, che tentavano di arginare questi atti evocando ragioni di nullità come l’illiceità della causa, dell’oggetto, dei motivi o la frode alla legge. Per la Cassazione, la legislazione vigente, inclusa la Costituzione all’articolo 42, non permetteva di qualificarli come nulli.

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Le Sezioni unite non si erano limitate a confermarne la validità. Si erano spinte oltre, indicando con precisione le modalità di stipula.

La Cassazione ha chiarito che si tratta di atti abdicativi e non traslativi. Questa distinzione tecnica è fondamentale.

Significa che, a differenza di compravendite, permute o donazioni (che trasferiscono la proprietà), alla rinuncia non si devono applicare le gravose formalità previste per gli atti traslativi. Nello specifico, la sentenza aveva chiarito che non erano necessarie le complesse verifiche e dichiarazioni in tema di conformità catastale, conformità urbanistica e prestazione energetica. Una semplificazione che, evidentemente, non è piaciuta all’esecutivo.

La contromossa del ministero nella legge di Bilancio

Non era difficile immaginare una pronta reazione da parte del Ministero dell’Economia, destinatario finale (tramite l’acquisizione allo Stato) di questi immobili spesso indesiderati. E infatti, la risposta è arrivata, celata nel penultimo comma di un articolo omnibus della bozza della

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Legge di Bilancio 2026, rubricato «Norme di revisione e di razionalizzazione della spesa».

Si tratta di un impedimento che, se non modificato durante l’iter parlamentare, appare insuperabile. La nuova norma renderà di fatto impercorribile l’utilizzo degli atti di rinuncia.

La nuova norma: nullità per mancanza di documentazione

Cosa prevede esattamente la futura norma? Sancisce la nullità dell’atto di rinuncia «se allo stesso non è allegata la documentazione attestante la conformità del bene alla vigente normativa, ivi compresa quella urbanistica, ambientale, sismica».

Dietro la parvenza di uno scopo legittimo (far acquistare allo Stato solo immobili “regolari”), si nasconde una prescrizione che gli addetti ai lavori definiscono incomprensibile e inapplicabile. L’effetto pratico sarà uno solo: l’impossibilità di stipulare questi atti.

I dubbi tecnici: una norma inapplicabile e vaga

L’analisi tecnica della norma contenuta nella bozza evidenzia profonde e forse insormontabili criticità.

In primo luogo, il concetto stesso di «

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documentazione attestante la conformità del bene alla vigente normativa» è totalmente inedito nella prassi professionale e notarile. È un concetto pressoché impossibile da tradurre in requisiti concreti: non si capisce quale sia questa “documentazione” né a quale “vigente normativa” (un termine onnicomprensivo) si faccia riferimento in modo così generico.

In secondo luogo, la norma contrasta con l’intera impalcatura degli atti traslativi (come le vendite) in vigore fin dal 1985. Per questi atti, la legge prevede (a pena di nullità) l’inserimento di «clausole» che ospitano «dichiarazioni» del cedente sullo stato urbanistico, non l’allegazione di una “documentazione” probabilmente sterminata e indefinita.

Lo stesso identico discorso vale per la nullità derivante da difformità catastale: la legge attuale richiede una «dichiarazione» di conformità, non una specifica «allegazione» documentale.

Inoltre, la richiesta di documentazione attinente alla «vigente normativa» ambientale e sismica è, nel contesto degli atti traslativi di

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immobili, del tutto sconosciuta e di difficilissima individuazione.

Una nullità anomala

C’è un ultimo aspetto tecnico dirimente. Nella prassi della contrattazione immobiliare, le norme che sanzionano con la nullità gli atti (ad esempio, per vizi urbanistici o catastali) dispongono una cosiddetta nullità «formale», non «sostanziale».

Come ribadito dalla stessa Cassazione (sentenza 27531/2025), la nullità scatta per la mancanza di determinate dichiarazioni nell’atto, o per la loro manifesta falsità, non per la verifica della effettiva veridicità sostanziale di tali dichiarazioni. La nuova norma sembra invece andare in una direzione diversa, molto più rigida e sostanzialista, ma senza definirne i contorni.

Sospetti di illegittimità costituzionale

La norma contenuta nella bozza di Legge di Bilancio 2026 emana, secondo gli analisti, un forte odore di illegittimità.

La nullità civilistica è una sanzione grave, che deriva dall’inosservanza di norme imperative. Tuttavia, tali norme devono essere chiare e intellegibili, definendo con precisione la linea di confine tra comportamenti legittimi e illegittimi.

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Questa prescrizione, invece, appare “ingestibile”.

La strategia sembra essere quella di bloccare l’attività negoziale dei privati, intimorendoli con il rischio più che concreto di incorrere in una nullità derivante dall’infrazione di una norma oscura e inapplicabile. Si corre però il forte rischio di raggiungere lo scopo voluto con una prescrizione che desta forti sospetti di contrarietà a quel dettato costituzionale (l’articolo 42 sulla funzione sociale della proprietà) su cui le stesse Sezioni unite avevano costruito la loro sentenza di apertura lo scorso agosto.

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