Manovra 2026: tornano i super ammortamenti per le imprese

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Addio ai crediti d’imposta 4.0 e 5.0: il governo reintroduce la maggiorazione degli ammortamenti per gli investimenti in beni strumentali. Il nuovo sistema promette risparmi fiscali, ma potrebbe penalizzare le imprese con più burocrazia e meno trasparenza.

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È in arrivo un ritorno al passato per le imprese italiane: dopo cinque anni di crediti d’imposta per gli investimenti 4.0 e 5.0, la bozza della nuova Legge di Bilancio 2026 reintroduce la vecchia formula dei super ammortamenti, cioè una maggiorazione percentuale degli ammortamenti ordinari. Il nuovo regime sarà applicato ai beni strumentali acquistati nel triennio 2026-2028.

Così la tassazione degli investimenti cambia profondamente. Vediamo come funziona il nuovo meccanismo e perché potrebbe penalizzare le imprese, con più burocrazia, meno trasparenza ed anche problemi nell’ottenimento del credito bancario.

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Cosa cambia con l’addio al credito d’imposta

Il credito d’imposta, in vigore fino al 2025, consente alle imprese di compensare direttamente imposte e contributi in F24 in base agli investimenti effettuati. Un meccanismo snello e rapido.

Dal 2026, invece, il beneficio tornerà a incidere sul reddito d’impresa, attraverso una maggiorazione del costo fiscalmente deducibile dei beni acquistati.

In sintesi, il vantaggio fiscale non sarà più un credito “spendibile” subito, ma una deduzione più ampia e diluita nel tempo, collegata agli ammortamenti contabili, maggiorati delle percentuali che ora ti illustriamo.

Come funziona il nuovo super ammortamento

L’articolo 95 della

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bozza della manovra finanziaria 2026 elaborata da governo prevede una maggiorazione del costo di acquisizione dei beni strumentali nuovi, applicabile a macchinari, impianti, attrezzature e tecnologie produttive installate in Italia, con le seguenti percentuali:

Restano esclusi fabbricati, beni a uso promiscuo e quelli con coefficiente di ammortamento inferiore al 6,5%.

Il beneficio spetta a tutte le imprese residenti e ai professionisti, purché in regola con i versamenti fiscali e contributivi (in base a quanto attestato nel DURC).

I super ammortamenti 4.0 e il premio green

Parallelamente, il governo introduce una versione rafforzata dei super ammortamenti per gli investimenti digitali e sostenibili, con maggiorazioni progressive in base al valore e all’efficienza energetica raggiunta. Il beneficio fiscale viene potenziato così:

Valore investimentoBeni 4.0Beni 4.0 + risparmio energetico
Fino a 2,5 mln €+180%+220%
2,5–10 mln €+100%+140%
10–20 mln €+50%+90%

È previsto anche un

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credito d’imposta del 40% (fino a 1 milione di euro) per le imprese della pesca e acquacoltura che investono in beni materiali o immateriali nel 2026.

Perché la riforma preoccupa imprese e professionisti

Il ritorno al super ammortamento segnala una discontinuità normativa che lascia perplessi economisti e operatori (soprattutto i commercialisti, tributaristi e fiscalisti): dopo anni di semplificazione con il credito d’imposta, si torna a un meccanismo più tecnico e meno “visibile”.

Il credito d’imposta, infatti, ha un grosso pregio di trasparenza e immediatezza, perché:

Meno uniformità e chiarezza

Perciò il credito d’imposta, in vigore fino al 2025, garantisce un

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effetto più omogeneo per tutte le imprese: indipendentemente dall’utile, il credito maturato è certo, facilmente controllabile e compensabile tramite il modello F24 (quello che si usa per i versamenti di imposte e contributi, permettendo di “pareggiare”, con i saldi algebrici, le voci a debito con quelle a credito).

Il super ammortamento, invece, riporta il vantaggio “dentro” il bilancio d’esercizio e spalma l’effetto fiscale su più anni, rendendolo meno percepibile e più complesso da gestire. Questo avviene perché la maggiorazione degli ammortamenti agisce sul reddito d’impresa, anziché sull’imposta dovuta e già calcolata: quindi il beneficio fiscale (la minore imposta da pagare) si concretizza solo in presenza di un utile sufficiente e in modo non uniforme.

Si torna così a una logica del beneficio “nascosto” nelle pieghe contabili dentro il reddito, con una sfumatura molto più tecnica e meno percepibile dall’imprenditore.

In altre parole: con il credito d’imposta si poteva recuperare (quasi) tutto e subito il valore dell’investimento fatto, mentre con i super ammortamenti il

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recupero è incerto (dipende dall’effettivo utile) e comunque risulta dilazionato e diluito nel tempo.

Complessità amministrativa e disallineamento dei bilanci

Inoltre, con la reintroduzione dei super ammortamenti si riaffaccia il disallineamento tra gli ammortamenti civilistici e quelli fiscali, ossia tra il bilancio d’esercizio e la dichiarazione dei redditi: questo – oltre a comportare un aggravio di lavoro per gli uffici amministrativi e gli studi professionali – può ridurre la chiarezza dei bilanci.

La discrepanza contabile creata dai superammortamenti riportati nel bilancio civilistico d’esercizio dovrà essere colmata in sede di dichiarazione dei redditi, per allineare i dati contabili con quelli fiscali.

Più difficile ottenere credito bancario

Ma tutto ciò potrà perfino influire sulla capacità di credito delle imprese, che agli occhi delle banche possono risultare meno solide a causa di utili apparentemente più bassi. Come detto, infatti, il super ammortamento influisce sul reddito d’esercizio, abbattendolo, mentre il credito d’imposta interviene a valle e lascia inalterati i valori di bilancio, compreso l’utile.

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Così – a ben vedere – la maggiorazione degli ammortamenti agisce a monte riducendo l’imponibile fiscale, il che in teoria è un vantaggio. Tuttavia, questa riduzione può portare a un utile fiscale inferiore, con un potenziale impatto negativo sulla percezione della solidità patrimoniale da parte degli istituti di credito.

Come già accaduto negli anni 2016-2018, le piccole e medie imprese che si finanziano principalmente tramite il credito bancario potrebbero trovarsi in difficoltà a spiegare ai funzionari di banca una possibile “scomparsa” dell’utile della loro attività. Questo, evidentemente, rende più difficile l’accesso al credito offerto alle piccole e medie imprese dalle banche e dalle società finanziarie.

Incertezza normativa: il problema di fondo

La critica più forte che proviene da molti esperti riguarda l’instabilità legislativa: questa riforma mina la fiducia delle imprese nella stabilità del sistema fiscale. Dopo aver abbracciato consapevolmente il modello del credito d’imposta per la sua linearità e controllabilità, il legislatore torna su un sistema che si era scelto di superare diversi anni fa.

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In un momento storico in cui le imprese hanno bisogno di certezze e programmazione, il ritorno a un meccanismo complesso e l’abbandono di quello precedente, percepito come più chiaro, appare una scelta difficile da decifrare.

«Per l’impresa, la vera agevolazione non è quella che cambia ogni anno, ma quella che dura abbastanza da poter essere pianificata», commenta il commercialista Gabriele Silva in una recente analisi sulle nuove norme in arrivo.

Dunque la scelta di tornare ai super ammortamenti rischia di vanificare la logica di semplificazione costruita negli ultimi anni. E in un contesto di costi energetici e inflazione elevata, ciò che serve alle imprese non è tanto uno “sconto” quanto una prospettiva stabile e sicura.

Conclusione

Il ritorno ai super ammortamenti appare più come un segnale politico che economico: si rispolvera una misura nota, e largamente in voga nello scorso decennio, ma con ciò si rinuncia volutamente a un meccanismo moderno, trasparente e facilmente controllabile, che negli ultimi anni ha dato buona prova di funzionamento.

Per molte imprese, il rischio è di trovarsi di nuovo a fare i conti con regole che cambiano a ogni manovra, e con una burocrazia che — ancora una volta — complica invece di semplificare.

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