Finta separazione per frodare il fisco, sequestro valido

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La Cassazione conferma la validità del sequestro sui beni del finto ex, quando emerge da indizi che la separazione sia fittizia.

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Vita sempre più dura, per i furbetti del fisco: anche il vecchio trucco della finta separazione, per salvare i beni da Equitalia intestandoli all’ex coniuge, dovrà ormai andare in cantina.

Amministrazione tributaria e giurisprudenza sono ormai sempre più “smaliziati” ed hanno affinato notevolmente, in questi ultimi anni, le armi contro l’evasione e l’elusione.

È il caso di una recente sentenza della Cassazione [1] che ha convalidato un’ordinanza di sequestro di alcuni beni appartenenti all’ex coniuge di un soggetto indagato per bancarotta fraudolenta e vari reati tributari. La Suprema Corte, con la pronuncia, ha confermato il prevalente orientamento in materia di

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sequestro di beni di terzi, ossia che, quando un bene è nella disponibilità e rientra nella sfera d’interessi economici dell’indagato, può essere oggetto di sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente, anche se l’intestazione del bene stesso risulta a nome di un terzo estraneo al reato.

Il caso processuale

La vicenda riguardava un soggetto indagato per diversi reati fiscali, che aveva effettivamente acquistato dei beni immobili, intestandoli, però, formalmente alla moglie, dalla quale risultava separato.

Il Gip aveva disposto il sequestro preventivo di tutti i beni, mobili ed immobili, appartenenti all’ex moglie, in quanto, da diversi indizi, si desumeva la falsità della separazione. In particolare, il giudice aveva rilevato, tra gli indici rivelatori della separazione fittizia, le seguenti circostanze:

– la moglie non disponeva delle entrate sufficienti all’acquisto dei beni, i quali risultavano effettivamente saldati dal marito ( i ratei dei mutui erano infatti pagati con provviste riconducibili a quest’ultimo);

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– l’indagato risultava avere pieno potere dispositivo in merito ai beni intestati all’ex coniuge, anche se gli atti risultavano formalmente effettuati da quest’ultima;

– la reale residenza dell’indagato, dal rinvenimento di abbigliamento ed oggetti personali, risultava essere l’ex casa coniugale, e non la residenza formalmente denunciata.

La ricorrente impugnava, invece, il sequestro, poiché tale misura cautelare non è di regola consentita quando i beni appartengono ad una persona estranea al reato.

La sentenza

La Cassazione ha confermato il sequestro preventivo, basandosi sul principio secondo cui i beni di terzi possono subire tale vincolo , qualora il reo abbia disponibilità su di essi. La disponibilità è stata definita dalle precedenti sentenze in materia [2] come l’esercizio di poteri corrispondenti al diritto di proprietà, ancorchè per il tramite di terzi.

La Suprema Corte ha poi confermato che l’effettiva disponibilità nella sfera dell’indagato deve essere adeguatamente provata dalla pubblica accusa: nel caso di specie, le prove sono state abbondantemente fornite, dalle circostanze rivelatrici della finta separazione e dalla dimostrazione dell’effettivo potere del soggetto sui beni.

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