Che fare se l'avvocato presenta un conto salato?

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La parcella dell’avvocato non può essere spropositata; il compenso va pattuito in modo chiaro nel contratto. Diversamente si applicano le tabelle previste dal decreto ministeriale.

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È vero che i prezzi che può praticare l’avvocato sono stati liberalizzati e ora non esistono più dei limiti minimi e massimi, ma è anche vero che la parcella non può essere sproporzionata rispetto all’attività prestata e che, se il compenso è indicato nel contratto scritto, questo deve essere chiaro e preciso. Questo perché nei rapporti tra avvocato e cliente si applica il codice del consumo (il primo è infatti un professionista e il secondo un consumatore) con il conseguente divieto di clausole vessatorie. Lo ha chiarito il Giudice di Pace di Milano con una recente sentenza

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[1]. Ma procediamo con ordine e vediamo che fare se l’avvocato presenta un conto salato.

Il cliente e l’avvocato sono liberi di concordare previamente la parcella dovuta a quest’ultimo. Lo possono fare oralmente; tuttavia, se il cliente chiede il preventivo scritto il legale è tenuto a consegnarglielo, indicando con precisione il corrispettivo per la prestazione professionale. Il prezzo finale può altresì variare sensibilmente rispetto a quanto anticipato nel preventivo in caso di eventi “accidentali” del processo, come nel caso in cui dovessero sorgere particolari difficoltà a seguito delle difese della controparte (si pensi alla domanda riconvenzionale che ampi gli estremi della lite).

Se le parti non concordano un preventivo, si applicano i criteri fissati dal decreto ministeriale del 2014 [2]. Sul punto leggi i due approfondimenti

In passato la Cassazione ha ritenuto colpevole di illecito disciplinare l’avvocato che presenta una

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parcella spropositata. Il legale non può speculare sulle necessità e sugli interessi del proprio cliente; l’onorario deve essere sempre ragionevole e proporzionato al tipo e alla mole di attività prestata (leggi: Avvocato: sanzione disciplinare se il compenso è sproporzionato). Diversamente il cliente, oltre a impugnare la nota spese e a chiederne l’annullamento al giudice, può anche denunciare il legale al competente consiglio dell’ordine.

Nella sentenza in commento, il giudice di Pace riconosce l’applicazione del codice del consumo a tutte le controversie tra avvocato e cliente. La prima conseguenza di tale ragionamento è che il preventivo del professionista non può contenere clausole vessatorie ossia condizioni particolarmente svantaggiose per il consumatore che comportino per lui «un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto». Anche le eventuali controversie non possono essere instaurate davanti a un giudice diverso rispetto a quello ove è residente il consumatore medesimo (tale è stato il chiarimento fornito dalla Cassazione

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[3]). L’avvocato, ad esempio, non può agire contro l’assistito presso il tribunale ove ha il proprio studio.

La seconda conseguenza è che i criteri per determinare il compenso dovuto al legale non possono essere «incerti e ambigui». L’avvocato deve dare al cliente «tutte le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili dal momento del conferimento alla conclusione dell’incarico» così come legge impone [4]. In mancanza, la liquidazione si deve effettuare secondo i criteri generali stabiliti dal Dm 55/2014(«Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense»).

Anche più di recente le Sezioni Unite della Cassazione [5] hanno confermato che il cliente al quale sia presentata una parcella spropositata, per attività non svolta, può presentare un esposto al locale consiglio dell’Ordine contro l’avocato colpevole di volerlo far pagare di più del dovuto. La professione forense deve essere esercitata con indipendenza, lealtà, probità, dignità, decoro, diligenza e competenza, tenendo conto del rilievo sociale e della difesa e rispettando i principi della corretta e leale concorrenza». Alla luce del principio contenuto nel codice deontologico forense le Sezioni unite della Cassazione hanno rigettato l’appello presentato da un legale contro la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale della durata di tre mesi.

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