La mano morta è violenza sulle donne

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Violenza sessuale: basta sfiorare le natiche, il seno o le altre parti intime per essere condannati penalmente.

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La violenza sessuale non è solo la costrizione fisica ai fini della congiunzione carnale cui si pensa in prima battuta. Può consistere anche in una serie di comportamenti che implicano comunque un’intrusione nell’altrui sfera intima, sia essa quella del fondo schiena, del seno, del collo o delle altre parti erogene. Finanche un bacio sulla bocca non voluto può essere violenza sessuale. E non importa il fatto che il reo non abbia provato alcun piacere per via del breve lasso di tempo durante il quale si è consumata l’azione: basta un attimo per far scattare il reato. Ciò che conta è l’aver oltrepassato la “barriera”.

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Peraltro, la violenza sessuale può essere anche solo “tentata” e non necessariamente consumata: si pensi al caso di un uomo che spinge una donna contro il muro per poterla stringere e toccare, ma questa si divincoli all’ultimo momento. Anche in questo caso c’è condanna, seppur con una pena inferiore per non aver portato a termine la condotta criminosa.

Così anche la mano morta è violenza sulle donne. Una violenza consumata e non solo tentata perché, anche se non c’è stata palpazione e anche se il contatto è stato fulmineo, esso ha raggiunto il suo obiettivo. A dirlo è una recente sentenza della Cassazione penale [1].

Quando c’è violenza sessuale

Non è la prima volta che la Corte usa la linea dura contro le condotte lesive dell’altrui libertà sessuale. Più volte, abbiamo commentato, all’interno di questo giornale, i vari comportamenti che integrano la violenza sessuale. Un articolo che ti consiglio di leggere è questo:

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Quando c’è violenza sessuale?

La violenza sessuale ai danni di una donna ha così tante sfaccettature da far rientrare in questo concetto anche il semplice tentativo di un bacio sulla bocca. Anche la prosecuzione di un rapporto sessuale, iniziato col consenso, ma poi, durante l’esecuzione, opposto con fermezza è violenza sessuale.

Alcuni giudici hanno ritenuto sussistere la violenza ai danni di una prostituta a cui, dopo la prestazione, non sia stato pagato il corrispettivo. Altre pronunce hanno ritenuto sussistere il reato nel momento in cui una persona faccia credere ad un’altra di ricoprire ruoli o cariche che non ha, inducendola così in errore sulle proprie qualità al fine di estorcerne, con l’inganno, il consenso all’atto sessuale. Senza contare poi il banale approfittarsi di una condizione di inferiorità psichica (si pensi alla donna che ha bevuto, si è drogata o ha un deficit mentale). Dall’altro lato, e contrariamente a quanto spesso si crede, non è violenza sessuale il rapporto tra un uomo di 70 anni e una ragazza di 14 anni: l’età del consenso inizia proprio da questo momento e, quindi, si è fuori anche dalla pedofilia.

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Molestie sessuali: sono violenza

Anche quelle che chiamiamo comunemente “molestie di genere” rientrano nella violenza sessuale. Quindi, chi fa la mano morta in autobus, approfittando della folla per appoggiarsi sul gluteo o sulla camicetta di una passeggera può essere denunciato per il reato in commento.

La “mano morta” sul corpo di una donna – non una parte qualsiasi ma una erogena, come le natiche, le cosce, il collo, il seno – vale una condanna per violenza sessuale. E se la “preda” si scansa poco prima del contatto, il reato è quello di violenza sessuale tentata. A ribadirlo in modo chiaro è la Cassazione, sottolineando la gravità del comportamento tenuto da un uomo che ha pensato bene di ‘approcciare’ in modo per nulla elegante una signora, che dal canto suo, una volta subito il palpeggiamento, ha reagito con vigore – «gliene ho dette di tutti i colori», ha raccontato – e ha poi sporto denuncia.

Nel caso deciso dalla Cassazione, è stata così confermata la condanna per un uomo che ha molestato una signora, toccandole il fondoschiena.

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La parola della vittima contro quella del reo

L’aspetto più interessante del nostro processo penale è che la parola della vittima conta più di quella del reo. La prima può cioè essere “testimone di se stessa”, mentre il secondo non ha alcuna voce in capitolo. Se così non fosse, si avrebbe il paradosso che alcuni reati consumati “a tu per tu”, lontano da testimoni, non sarebbero mai puniti.

Beninteso, questo non vuol dire che il giudice deve prendere “per oro colato” tutto ciò che gli dice la parte lesa, ma deve comunque sottoporre la sua ricostruzione a un vaglio di credibilità: i fatti narrati non devono cioè essere contraddetti da altri elementi.

Detto ciò, nella punizione del reato di violenza sessuale diventa decisivo il racconto della vittima che dichiari, ad esempio – come nel caso di specie – che l’imputato «le ha messo una mano» là dove non doveva.

Secondo i giudici, «il toccamento di quella specifica zona erogena – nella fattispecie il fondoschiena – è stato improvviso ed inaspettato, invasivo dell’intimità della donna e animato da chiari impulsi sessuali» percepiti dalla vittima che «protestò energicamente (“gliene ho dette di tutti i colori”)» con l’uomo.

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Evidente, quindi, la consumazione del reato di «violenza sessuale», spiegano i giudici della Cassazione, poiché, come detto, «vi fu lascivo contatto con la zona erogena del fondoschiena della donna».

Difatti, come anticipato in apertura «è sufficiente che il colpevole raggiunga le parti intime della persona offesa (zone genitali o comunque erogene), essendo indifferente che il contatto corporeo sia di breve durata o che la vittima sia riuscita a sottrarsi all’azione dell’aggressore o che quest’ultimo consegua» o meno «la soddisfazione erotica».

In definitiva, anche la “toccatina” fuggevole del sedere è catalogabile come «violenza sessuale», poiché «l’elemento della violenza può estrinsecarsi anche nel compimento insidiosamente rapido dell’azione criminosa, tale da sorprendere la vittima e da superare la sua contraria volontà, così ponendola nell’impossibilità di difendersi».

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