Lavoro intermittente busta paga

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Con il lavoro intermittente il lavoratore può “arrotondare” senza prendersi un impegno di lavoro troppo serio e l’azienda può contare su una forma flessibile di gestione delle risorse umane.

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La flessibilità nel lavoro è stata sempre considerata un fattore negativo in quanto renderebbe la vita dei lavoratori troppo precaria e priva di stabilità. Tuttavia, non bisogna generalizzare. Ci sono, indubbiamente, dei casi in cui risponde ad un’esigenza degli stessi lavoratori, quella di avere un lavoro discontinuo e non stabile. Pensiamo ad uno studente che, per arrotondare, vuole fare qualche lavoro oltre che dedicarsi agli studi. Oppure ad un pensionato che vuole godersi il meritato riposo ma è interessato a fare, ogni tanto, qualche lavoro. Per rispondere ad esigenze come queste, il

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lavoro intermittente è la risposta ideale poiché permette di chiamare il lavoratore solo quando serve e di dargli la busta paga solo per i giorni di effettivo lavoro.

Come vedremo, tuttavia, non è sempre possibile assumere un lavoratore con contratto di lavoro intermittente in quanto le fattispecie in cui questa forma di assunzione è consentita sono solo quelle indicate dalla legge o dalla contrattazione collettiva.

Nozione di lavoro intermittente

Si pensa spesso che tutti i lavoratori vogliano un lavoro fisso e stabile, che li impegna tutto il giorno a tempo indeterminato. In realtà, il mercato del lavoro è molto vario e, al suo interno, le esigenze dei singoli lavoratori sono le più disparate.

Accanto a quei lavoratori che auspicano il posto fisso, troviamo anche lavoratori che cercano l’esatto opposto dell’impiego fisso, ossia, lavori occasionali e discontinui

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con cui arrotondare senza assumere un impegno troppo rigido.

Allo stesso modo, le esigenze delle imprese non sono sempre le stesse. In molti settori, come ad esempio nel turismo, nei pubblici esercizi, nel commercio, nell’agricoltura, nell’industria alimentare, le imprese non lavorano tutti i mesi dell’anno allo stesso modo ma, al contrario, la loro attività si concentra in specifici periodi dell’anno. Questi datori di lavoro hanno, dunque, l’esigenza di concentrare le assunzioni in un periodo limitato. Per rispondere a tutte le esigenze descritte, sia dei lavoratori che delle imprese, la risposta ideale è il contratto di lavoro intermittente.

Con questo contratto, infatti, il lavoratore non si assume l’impegno di lavorare in modo fisso e rigido per un certo periodo di tempo ma si mette semplicemente a disposizione del datore di lavoro che, quando ne ha necessità, può chiamarlo per svolgere singole prestazioni di lavoro, di durata da definire [1].

Se viene chiamato ed accetta la chiamata, il lavoratore verrà pagato. Nei

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periodi di non lavoro, al contrario, non riceve nulla e non comporta alcun costo per l’azienda. Questa regola vale a meno che, nel contratto di lavoro intermittente, il lavoratore non si assume l’obbligo di rispondere alla chiamata del datore di lavoro. In questa ipotesi, infatti, il datore di lavoro è sicuro che, se ne avrà bisogno e chiamerà quel lavoratore, egli accetterà la chiamata.

Un vincolo così forte deve essere retribuito e, infatti, la legge prevede che il lavoratore intermittente che ha garantito la disponibilità debba ricevere la cosiddetta indennità di disponibilità. Si tratta di un emolumento mensile, divisibile in quote orarie, il cui ammontare è definito dal Ccnl di settore (o, in melius per il lavoratore, dal contratto individuale di lavoro) e che, comunque, non può essere inferiore ad una somma pari, almeno, al 20% della retribuzione minima stabilita dal Ccnl per lavoratori di analoghe mansioni e livello di inquadramento. Al di fuori di questa ipotesi, il lavoratore intermittente guadagna solo quando viene chiamato.

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Lavoro intermittente: quando è possibile utilizzarlo?

Il lavoro intermittente non è, nonostante le sue potenzialità per gestire la flessibilità, una forma di impiego del personale che può essere sempre utilizzata.

Infatti, la legge consente l’utilizzazione del contratto a chiamata (detto anche job on call) solo in specifiche ipotesi e, cioè:

Fuori di queste ipotesi non è possibile stipulare un

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contratto di lavoro a chiamata ed è, dunque, necessario gestire esigenze discontinue di personale con altri strumenti come, ad esempio, la somministrazione di manodopera o il contratto a tempo determinato.

Lavoro intermittente: come si compone la busta paga del lavoratore?

Nel contratto di lavoro a chiamata, la prestazione di lavoro del lavoratore viene svolta solo se il datore di lavoro chiama il prestatore di lavoro e quest’ultimo risponde affermativamente alla chiamata. Ne consegue che il lavoratore intermittente riceve una busta paga solo nei periodi di effettivo lavoro, mentre nei periodi di mera attesa non gli spetta alcunché.

A questa regole, come abbiamo visto, si sottrae l’ipotesi del contratto a chiamata con obbligo di risposta: in questa fattispecie, infatti, nei periodi di mera attesa, il lavoratore ha comunque diritto a ricevere la cosiddetta indennità di disponibilità.

Detto ciò, vediamo come calcolare lo stipendio del lavoratore a chiamata nei periodi di effettivo lavoro. La legge prevede che il lavoratore a chiamata deve ricevere, a parità di

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mansioni e di livello, lo stesso trattamento economico e normativo complessivamente erogato ad un lavoratore subordinato “standard”.

Ovviamente, visto che nel contratto a chiamata si lavora solo in brevi periodi, il trattamento economico, normativo e previdenziale del lavoratore intermittente deve essere riproporzionato in base alla prestazione lavorativa effettivamente eseguita.

In particolare, il riproporzionamento deve essere svolto con riferimento a:

Considerando che le prestazioni di lavoro, nel contratto a chiamata, sono discontinue ed a singhiozzo, di solito, la retribuzione dei lavoratori intermittenti

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viene pagata in quote orarie.

Nella quota oraria vengono, dunque, computati:

A questo punto, cerchiamo di capire come ottenere il riproporzionamento degli istituti contrattuali. Nella prassi, si usa comunemente la formula dell’erogazione in percentuale.

Partiamo dalle ferie. Se le ferie cui ha diritto il lavoratore sono pari a 26 giorni annui oppure ad 1 mese, si potrà utilizzare il seguente coefficiente: 1 / 12 × 100 = 8,33333%.

Per quanto concerne i permessi retribuiti, e quindi i cosiddetti permessi per riduzione di orario di lavoro (rol) e/o festività soppresse, se il Ccnl non fissa regole a riguardo, la quota maturata si può calcolare dividendo le ore di permesso per le ore di lavoro totali, ottenendo dunque l’incidenza percentuale delle stesse.

Se il lavoratore ha diritto a 104 ore di rol e/o ex

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festività su 2.080 ore annuali di lavoro si può usare il seguente coefficiente: 104 / 2.080 × 100 = 5%.

Con riferimento alle mensilità aggiuntive (tredicesima e/o quattordicesima) ci si può servire di questo coefficiente: 1 / 12 × 100 = 8,33333%.

Per quanto concerne le festività nazionali e contrattuali, si può ipotizzare in linea teorica che ad un lavoratore standard spettano in tutto 16 giorni di festività di cui 11 giorni di festività nazionali e infrasettimanali, a cui si aggiunge la festività del Santo Patrono nel Comune in cui il lavoratore presta la sua attività e le 4 giornate relative alle festività abolite. Si può usare questo coefficiente:16 × 6,67 ore = 106,72 ore / 2.080 ore annuali teoriche × 100 = 5,13076%. Su questo punto, tuttavia, è bene fare riferimento alle indicazioni contenute nel Ccnl applicato.

Per calcolare la busta paga del lavoratore intermittente si dovrà partire dalle ore effettivamente lavorate dal lavoratore a chiamata e calcolare la retribuzione spettante per le ore di lavoro prestate. A questo importo andranno aggiunti, in percentuale, i cosiddetti istituti differiti sulla base dei coefficienti appena indicati.

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Per quanto concerne il calcolo dell’accantonamento del trattamento di fine rapporto (Tfr) si ritiene che la retribuzione utile su cui calcolare il Tfr comprenda tutti gli elementi retributivi di paga erogati al lavoratore intermittente e, dunque, sia la paga base che i compensi relativi alle ferie, alle festività, alle ex festività ed ai rol.

Inoltre, se ne ha diritto in base alle regole che disciplinano l’attribuzione degli assegni per il nucleo familiare (Anf), anche ai lavoratori a chiamata spettano gli Anf per i periodi di chiamata, ossia, le fasi in cui il lavoratore presta effettivamente la sua attività lavorativa.

Diversamente, nei periodi di mera attesa in cui il lavoratore a chiamata percepisce unicamente l’indennità di disponibilità gli Anf non devono essere pagati.

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