Droga: quanta se ne consuma in Italia

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Un ragazzo su quattro ha consumato una sostanza illegale nel corso del 2018; gli stupefacenti più diffusi sono i derivati della cannabis.

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Si parla molto di sostanze stupefacenti soprattutto in questi giorni, all’indomani della sentenza della Cassazione secondo cui coltivare cannabis in casa non è più reato e dal mondo politico si registrano le più varie reazioni e prese di posizione; ma, come spesso accade in molti fenomeni sociali, si dimentica di ragionare sulle cifre e sui dati concreti. Eppure in questo caso ci sono, ma giacciono in una recente relazione che è passata inosservata in Parlamento.

A inizio dicembre di quest’anno il Dipartimento per le politiche antidroga della Presidenza del Consiglio ha diffuso la sua relazione annuale al Parlamento. È un documento ufficiale, frutto del lavoro svolto in collaborazione con le amministrazioni centrali e periferiche dello Stato, con l’apporto dell’Osservatorio nazionale sul fenomeno delle

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tossicodipendenze e con il contributo dei soggetti del pubblico e del privato sociale competenti nello specifico settore.

In sostanza, il documento – composto di circa 300 pagine e liberamente scaricabile dal sito http://www.politicheantidroga.gov.it/ – ci dice quante e quali droghe si consumano in Italia. Il rapporto 2019 contiene i dati statistici completi riferiti all’intero anno 2018.

Dal documento emerge che un terzo degli studenti italiani, pari a 870.000 ragazzi circa, ha fatto uso di almeno una sostanza drogante durante la propria vita; un quarto di essi, pari a 660.000, ne ha fatto uso nel corso dell’anno 2018. Quali sostanze vengono consumate? L’analisi evidenzia che gli stupefacenti più diffusi sono i derivati della cannabis, che sono il 96% delle sostanze sequestrate; le piante di cannabis sequestrate sono state più di mezzo milione in un anno, la loro quantità è cresciuta in un anno del 93,9% (quasi raddoppiata rispetto all’anno precedente), e l’intero mercato illecito degli stupefacenti è in crescita, con

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sequestri per oltre 123 mila chili, in cui spiccano le sostanze sintetiche.

Il rapporto evidenzia anche che aumentano, rispetto al precedente anno, i ricoveri ospedalieri droga-correlati (+14%), le infrazioni alla guida per uso di droga al volante (+12%), i decessi derivanti dall’assunzione di stupefacenti (+12.8%). Oggi il Centro studi Livatino, in una nota diramata attraverso l’agenzia stampa Adnkronos, evidenzia questi dati e denuncia che “I dati sulla diffusione della droga, in particolare la cannabis, sono allarmanti, eppure c’è una dissociazione dalla realtà da parte delle istituzioni preoccupante”.

In particolare, sottolinea il Centro studi Livatino, “la relazione, pur diretta al Parlamento, non è stata discussa nell’Aula della Camera o del Senato né in alcuna Commissione. Pur se il Dipartimento che l’ha redattarientra nella competenza politica del presidente del Consiglio, né il premier né il Governo hanno detto una parola su di essa. Ci sono state le risposte istituzionali, ma sono andate nella direzione opposta all’allarme che viene dai dati, dall’emendamento che ha tentato di inserire nella manovra la

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vendita di hashish e marijuana nei cannabis shop alla sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione del 19 dicembre, di cui ieri è stato reso noto il principio di diritto. Preoccupa una tale dissociazione dalla realtà. Suona ipocrita”, conclude la nota.

Il vicepresidente del Centro, il magistrato di Cassazione Alfredo Mantovano, coglie l’occasione per dichiarare ad Adnkronos che la decisione della Cassazione, che ha stabilito che non costituirà più reato coltivare in minime quantità la cannabis in casa, “è un oggettivo incentivo a moltiplicare la coltivazione domestica senza freni, nè controlli particolari, nè tutele per i minori che di fronte a questa coltivazione domestica possono essere incentivati al ‘fai da te’ per detenzione e consumo”.

Il magistrato si dichiara “perplesso” perché la relazione annuale sullo stato delle tossicodipendenze in Italia attesta un aumento enorme tra il 2017 e il 2018 dei sequestri di piante di cannabis”. Una diffusione massiccia a fronte della quale “la risposta non può essere un ulteriore allargamento di maglie già di per sè larghe”, ed anche perché “il principio dell’

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uso personale che vale per la detenzione di sostanze stupefacenti, come l’esperienza insegna, assomiglia ad un elastico più o meno allargato , senza parametro quantitativo di riferimento”.

Per questo, secondo Mantovano, lo scenario è preoccupante: “da un canto la realtà fotografata dalla relazione sulle tossicodipendenze; dall’altro il Parlamento che tenta di inserire in manovra i cannabis shop; e per chiudere le sezioni unite della Cassazione che allargano le maglie della coltivazione mentre ci si attenderebbe al contrario”. Che rimedio dunque? “Fare informazione, diffondere conoscenza e puntare sulla prevenzione anche se sempre più difficile: nel momento in cui un comportamento è lecito, come si fa a dire che va contrastato?”

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