Deridere una persona per il suo aspetto fisico: cosa si rischia
Body shaming: prendere in giro una persona per una sua caratteristica fisica è reato?
Si sente spesso parlare di body shaming, ossia del tentativo, attuato tramite i social network o i commenti su internet, di far vergognare qualcuno per il proprio aspetto fisico. Si tratta di insulti che, a volte, diventano così martellanti da sfociare in persecuzioni, specie quando realizzati da un gruppo nutrito di persone. Questa condotta può essere considerata un illecito penale? Cosa si rischia a deridere una persona per il suo aspetto fisico? Prendere in giro qualcuno per un difetto del corpo è reato? Cerchiamo di comprenderlo con una serie di esempi pratici.
Indice
Body Shaming: è reato?
I più attenti noteranno che dire a una persona grassa «Sei grassa!» potrebbe essere una semplice constatazione, che non aggiunge alcuna valutazione personale alla realtà, nessun giudizio e, quindi, nessun intento denigratorio. Sarebbe come dire a una ragazza mora «Hai i capelli neri» o a una alta poco più di un metro «Sei bassa».
Allo stesso modo, dire «Sei brutto» potrebbe costituire un giudizio soggettivo, che rientra nella libertà di espressione garantita dalla Costituzione. Peraltro, è innegabile che la popolazione sia costituita da persone tra loro diverse, belle e meno belle, alte e basse, scure e chiare di carnagione, more e bionde, magre e grasse. Questa diversità è percepibile già ad occhio nudo e, molto spesso, la sua constatazione non vuole essere un giudizio, ma una semplice osservazione.
Il body shaming, però, viene fatto con l’intento preciso di danneggiare, ferire, umiliare, screditare. Nella migliore delle ipotesi, esso è qualificabile come diffamazione aggravata (aggravata perché avviene tramite internet). Spesso, però, sconfina nel bullismo, rivolto ad emarginare la vittima, o addirittura nel reato di stalking quando diventa talmente ripetitivo da modificare le abitudini di vita della vittima o le crea una situazione di stress o ansia.
Possiamo quindi dire che il body shaming è reato nella misura in cui è finalizzato a offendere. Se, però, tale intenzione non sussiste, non siamo in presenza né di
Il confine tra il lecito e l’illecito è solo apparentemente sfumato. Anche se l’offesa viene proferita tramite una tastiera del computer, non c’è bisogno dell’intonazione della voce per comprendere se lo scopo del giudizio è denigratorio o meno. Ed allora, cerchiamo di capire cosa si rischia nel deridere una persona per il suo aspetto fisico.
Quando il body shaming è diffamazione
È facile comprendere quando si è in presenza di body shaming. L’intento deve essere quello di insultare: il giudizio, quindi, non deve inserirsi nel contesto di una discussione ma deve essere gratuito, non richiesto. Proprio da questa gratuità si intuisce il fine persecutorio di chi agisce.
Sotto la foto di una modella che sfila in passarella, Luigi scrive «A mio avviso, la modella è troppo grassa per questo tipo di lavoro». Nel caso di specie, Luigi non commette reato. Il suo, infatti, è qualificabile come un giudizio personale. Del resto, la modella ha deciso di sfilare pubblicamente, con ciò mettendosi in vista e, quindi, sottoponendosi al giudizio delle persone.
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Accanto alla foto di una compagna di classe, Mattia scrive «Lei è la più brutta dell’istituto». Mattia commette diffamazione aggravata e, se ha più di 14 anni, ne risponde penalmente. Difatti, il suo giudizio non è finalizzato a nient’altro se non che a deridere l’amica, la quale peraltro, nel farsi fotografare, non ha voluto consegnarsi al giudizio estetico del pubblico.
Come si nota dagli esempi, il contesto nel quale viene inserito il messaggio e anche l’uso di espressioni più o meno forti lascia ampiamente intuire quando il body shaming è reato. Scrivere «Secondo me», «A mio giudizio», «Mi sembra che…» lascia trasparire un intento affatto diffamatorio ma rivolto ad esprimere un giudizio personale, soggettivo e, quindi, legato unicamente al modo di vedere dell’autore. L’uso invece di espressioni assolute e forti come «Fai schifo», «Sei un mostro», «Sei un pachiderma», «Io al posto tuo mi chiuderei in casa e mi ucciderei» hanno, invece, un intento di natura completamente diversa.
A chi spetta giudicare se il body shaming è reato?
La vittima del body shaming può ben rivolgersi alla polizia o ai carabinieri per querelare l’autore dell’offesa. Nel caso in cui le indagini dovessero portare alla condanna del colpevole, sarà poi il giudice a valutare se le espressioni usate dall’imputato hanno davvero un intento diffamatorio o meno.
In caso positivo, la vittima potrà “costituirsi parte civile” nel processo penale per chiedere il risarcimento del danno.