Come recuperare i contributi versati?

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Versamenti non sufficienti per il diritto alla pensione: il lavoratore può richiederli indietro all’ente previdenziale?

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I cosiddetti contributi silenti costituiscono un grave problema per molti lavoratori, alla fine della carriera: si tratta di versamenti eseguiti nel corso della vita lavorativa, all’Inps o ad altri enti previdenziali, che però non sono utili per conseguire la pensione in quanto insufficienti. Pensiamo al caso del lavoratore che compie 67 anni, età pensionabile valida presso la generalità delle gestioni amministrate dall’Inps: se questo lavoratore non raggiunge contemporaneamente almeno 20 anni di contributi (15 anni solo in rare eccezioni) non consegue il diritto alla pensione, anche se, per assurdo, ha alle spalle 19 anni di accrediti.

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Ma come recuperare i contributi versati? E, soprattutto, la restituzione dei contributi che non danno luogo a pensione è consentita? La risposta dipende dall’ente previdenziale presso il quale è iscritto l’interessato. Ad oggi, la generalità delle gestioni previdenziali Inps non consente il recupero dei contributi non utilizzati per la pensione.

La giurisprudenza [1] sostiene che il comportamento dell’Inps sia legittimo, in quanto i contributi versati, anche se in concreto non danno luogo a un trattamento pensionistico, sono comunque potenzialmente utili alla pensione. L’iscritto, difatti, potrebbe ottenere la pensione aggiungendo altri versamenti, ad esempio riscattando periodi scoperti oppure versando i contributi volontari.

Ci sono comunque alcune casse professionali, cioè gestioni di previdenza dei liberi professionisti, che consentono la restituzione dei contributi qualora ci si cancelli dall’albo e dall’ente, a determinate condizioni: consentono la restituzione, ad esempio, la cassa dei dottori commercialisti e quella dei ragionieri.

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In ogni caso, bisogna ricordare che i contributi non utili alla pensione, per esempio quelli versati erroneamente o in eccedenza, entro un determinato termine di prescrizione possono essere rimborsati dall’Inps. Ma procediamo con ordine.

Quando si possono recuperare i contributi Inps

Il lavoratore può chiedere il rimborso dei contributi Inps non utili alla pensione solo quando questi sono versati erroneamente (ad esempio, presso una gestione sbagliata o in assenza di rapporto di lavoro) o in eccedenza.

Attenzione, però: se la contribuzione è versata per un rapporto di lavoro inesistente ed è verificato il dolo dell’interessato, l’Inps annulla i contributi e non li restituisce.

Per quanto riguarda la contribuzione accreditata a favore del lavoratore dipendente, iscritto presso il Fpld (Fondo pensioni lavoratori dipendenti dell’Inps, la legge

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[2] stabilisce che i contributi non dovuti, versati in un periodo che precede di oltre 5 anni il momento dell’accertamento Inps, non vengono rimborsati ma sono validi ai fini del diritto alla pensione.

I contributi indebiti versati dagli artigiani, dai commercianti e dai liberi professionisti senza cassa non sono invece utilizzabili ai fini del diritto alla pensione, ma, salvo il caso di dolo, sono restituiti, senza interessi.

Per conoscere tutti i casi in cui l’Inps restituisce i versamenti non dovuti, vedi: Contributi non dovuti, tutte le ipotesi.

Quando si possono recuperare i contributi delle casse professionali

Alcune casse professionali consentono la restituzione dei contributi correttamente versati, ma che non hanno dato luogo a pensione.

La Cassa dei dottori commercialisti, ad esempio, restituisce i contributi:

Anche la Cassa dei ragionieri consentiva la

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restituzione dei contributi versati correttamente; in particolare, in base alla precedente normativa, potevano recuperare i contributi gli iscritti che avessero compiuto almeno 65 anni di età, cessati dall’iscrizione all’ente senza avere maturato i requisiti assicurativi per il diritto a pensione. In base al regolamento Cnpr 2021 [4], la restituzione è concessa soltanto ai tirocinanti preiscritti all’ente, che non perfezionano l’iscrizione.

La Cassa dei consulenti del lavoro, invece, non consente la restituzione dei contributi regolarmente versati; la Cassa Forense la consentiva in passato, così come la Cassa degli ingegneri, Inarcassa, che non prevede più nel proprio statuto l’ipotesi del rimborso della contribuzione.

Per quanto riguarda gli avvocati la cui posizione previdenziale sia stata retroattivamente annullata, spetta la restituzione dei soli contributi soggettivi versati, ma non anche dei contributi integrativi [3], in quanto il fine di solidarietà che li caratterizza non viene meno per effetto della cancellazione dell’iscritto. In questo caso, comunque, parliamo di versamenti erronei, ad esempio in presenza una situazione di incompatibilità con l’iscrizione all’Albo degli avvocati, quindi di contributi inefficaci.

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L’Enpap, cioè la cassa di previdenza degli psicologi, restituisce la sola contribuzione versata in eccedenza e non rimborsa i contributi in caso di cancellazione.

L’Enpam, cioè l’ente previdenziale dei medici, restituisce i contributi soltanto all’iscritto che, cancellandosi dall’Albo, non matura il diritto a pensione al raggiungimento del 68° anno di età. La restituzione consiste in un’indennità una-tantum costituita dall’88% dei contributi versati maggiorati dagli interessi semplici, calcolati al tasso annuo del 4,50%.

Come rendere utilizzabili i contributi silenti Inps?

I contributi silenti, non sufficienti per il diritto a pensione, possono comunque diventare utilizzabili:

Queste operazioni, ad ogni modo, sono utili per recuperare i contributi silenti solo qualora, uniti ai versamenti inutilizzabili, consentano di raggiungere il diritto a pensione.

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Qualora i contributi versati siano insufficienti per ottenere una pensione autonoma, si può infine ottenere la pensione supplementare, cioè una pensione aggiuntiva: bisogna però essere già titolari di un trattamento pensionistico, per avvalersi di questa opportunità.

Inoltre, non tutte le gestioni presso cui si possiedono contributi silenti erogano la pensione supplementare: la possibilità di ottenere il trattamento aggiuntivo dipende sia dall’ente erogante, che dalla gestione che riconosce la pensione principale.

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