Pignoramento: quando è irregolare e come annullarlo

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Come capire se un pignoramento è illegittimo e cosa fare per cancellarlo: le varie forme di opposizione all’esecuzione e i modi per bloccare le procedure in corso.

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Molti pignoramenti che vengono eseguiti in Italia sono irregolari, perché non è rispettata la procedura prevista dalla legge. Di conseguenza possono essere annullati. Tutto ciò sembra assurdo, pensando al fatto che questi atti vengono promossi soprattutto da banche e società finanziarie, quindi da professionisti che agiscono in serie e non da privati che intraprendono occasionalmente le azioni esecutive per qualche debito che non gli è stato pagato.

In questo articolo vogliamo dirti quando un pignoramento è irregolare e come annullarlo

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. Ti spiegheremo come capire se è illegittimo, in cosa consistono i vizi più frequenti e cosa fare a livello giudiziario per evitare brutte conseguenze, come la vendita di un immobile di tua proprietà per alcune rate di mutuo non pagate.

Ti anticipiamo che in tutti i casi occorre un’iniziativa della parte interessata a far valere i vizi esistenti nella procedura di pignoramento, altrimenti, se si è già arrivati alla vendita giudiziale all’asta dei beni mobili e immobili del debitore, o all’assegnazione al creditore delle somme di denaro pignorate, non c’è più nulla da fare.

Per questo motivo occorre muoversi tempestivamente: appena si riceve la notifica dell’atto di pignoramento è possibile analizzarlo e riscontrare la presenza di vizi che invalidano l’intera procedura esecutiva intrapresa dal creditore.

Ti parleremo anche dei casi più ricorrenti nella pratica, come i pignoramenti compiuti dalle banche per mutui non pagati: qui le conseguenze sono devastanti, perché c’è il serio rischio perdere gli immobili di proprietà, se non si agisce tempestivamente per far rilevare i vizi della procedura esecutiva e bloccarla in tempo.

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Titolo esecutivo: cos’è e a cosa serve

Ogni pignoramento deve poggiarsi su un titolo esecutivo: è un presupposto indispensabile dell’esecuzione forzata. Al riguardo l’articolo 474 del Codice di procedura civile dispone che: «L’esecuzione forzata non può avere luogo che in virtù di un titolo esecutivo per un diritto certo, liquido ed esigibile». Il credito:

Il titolo esecutivo fornisce certezza dell’obbligazione dovuta e rimasta inadempiuta e ne quantifica anche l’esatto importo: nulla deve rimanere indeterminato o vago.

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In concreto, il titolo esecutivo può consistere in assegni, cambiali, sentenze di condanna al pagamento di una determinata somma di denaro (ad esempio, per spettanze retributive dei lavoratori, o per risarcimento di danni), decreti ingiuntivi non opposti entro il termine previsto e muniti dell’apposita formula, scritture private autenticate di riconoscimento di un debito, atti notarili o formati da altri pubblici ufficiali, verbali di conciliazione di controversie di lavoro, accordi raggiunti durante la medazione o la negoziazione assistita, ecc.

Dall’esemplificazione che ti abbiamo appena fornito avrai compreso che esistono due tipi fondamentali di titoli esecutivi: quelli giudiziali, come le sentenze, e quelli stragiudiziali, che vengono formati dalle parti, come un contratto di compravendita, o di mutuo, in cui ci si impegna a pagare una determinata somma entro un certo termine.

Formula esecutiva: cosa è cambiato dopo la riforma

Un titolo esecutivo non nasce come tale, ma lo diventa: in entrambi i casi (quindi anche per i titoli di formazione giudiziale), occorre sempre l’apposizione di una

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formula esecutiva, prevista dallo stesso art. 474 C.p.c., che in un certo senso “consacra” il titolo come idoneo a fondare l’esecuzione forzata.

La riforma Cartabia della giustizia civile, entrata in vigore nel 2023, ha eliminato la vecchia formula esecutiva, conosciuta dagli addetti ai lavori come il “comandiamo” apposto dall’ufficiale giudiziario, e adesso – salvo pochi casi particolari – è sufficiente una attestazione di conformità della copia all’originale dell’atto o del provvedimento: così prevede l’articolo 475 del Codice di procedura civile riformulato. Queste copie attestate, quindi, valgono come titolo esecutivo per tutti gli atti di precetto notificati dal 28 febbraio 2023 in poi.

In pratica, ciò significa che è stata abolita la precedente «spedizione in forma esecutiva» del titolo (l’articolo 476 del Codice di rito, che la prevedeva, è stato eliminato dalla riforma), ed è sufficiente, ad esempio, per le sentenze dei processi civili, l’attestazione di conformità all’originale, rilasciata dall’avvocato difensore del creditore che estrae il provvedimento dal fascicolo telematico per portarlo in esecuzione.

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In sintesi, la procedura per rendere effettivamente esecutivo un titolo è diventata quasi interamente telematica, ed è sparita l’intermediazione degli ufficiali giudiziari incaricati di apporre la formula.

Notifica del titolo e del precetto: come avviene

Il titolo esecutivo deve essere notificato al debitore, insieme all’atto di precetto, per poter intraprendere l’esecuzione forzata, dopo che sono trascorsi inutilmente i 10 giorni intimati e concessi per il pagamento spontaneo del debito azionato.

Se il debitore principale è morto, la notifica avviene nei confronti degli eredi, come dispone l’art. 477 del Codice di procedura, ma entro il primo anno dal decesso può essere eseguita, impersonalmente e collettivamente a tutti gli eredi, presso l’ultimo domicilio del defunto. Dopo un anno dalla morte, invece, la notifica va fatta agli eredi personalmente e presso il loro rispettivo domicilio.

La verifica del titolo esecutivo

Nella prassi, i creditori istanti e i loro procuratori pongono la massima attenzione nella redazione e notifica del precetto, ma non altrettanta nella

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verifica del titolo esecutivo, che invece, come abbiamo visto, è un presupposto indispensabile per intraprendere l’esecuzione forzata, e qui si annidano i vizi che adesso andiamo ad esaminare. D’altronde il creditore non ha certo interesse a rilevare vizi controproducenti per l’azione esecutiva che si accinge a intraprendere, e quindi tende a dare per buono il titolo che ha in mano.

Può capitare che il titolo esecutivo venga caducato (ad esempio, una sentenza di condanna di primo grado e dichiarata provvisoriamente esecutiva viene riformata in appello) o che non sia più sussistente in capo al creditore procedente: come quando egli ha ceduto il suo credito a una società di recupero prima dell’inizio dell’azione esecutiva, senza notificare la cessione al debitore.

Quindi la verifica dell’esistenza, e della attuale validità del titolo esecutivo che fonda l’azione del creditore va sempre compiuta e non può essere mai omessa o data per scontata. Altrimenti, se il titolo esecutivo manca o non è più valido, la procedura esecutiva è illegittima e non può essere avviata o proseguire.

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In poche parole, senza un valido titolo esecutivo di base non possono essere disposti pignoramenti, vendite forzate dei beni o assegnazioni di somme ai creditori procedenti.

Anche l’omessa notifica del titolo esecutivo, pure ove la notifica del precetto fosse avvenuta in maniera valida, è una causa di nullità dell’esecuzione forzata, e può essere rilevata in qualsiasi momento dal giudice, d’ufficio o su richiesta di parte.

Come opporsi ai pignoramenti fondati su titoli esecutivi invalidi

Lo strumento processuale mediante il quale far valere i vizi del titolo esecutivo è l’opposizione all’esecuzione, disciplinata dall’art. 615 del Codice di procedura civile, mediante il quale si può contestare il diritto del creditore di procedere ad esecuzione forzata.

Per le irregolarità più lievi e che non invalidano l’intera procedura è previsto un altro rimedio: l’opposizione agli atti esecutivi, regolata dall’art. 617 del Codice di rito. Questo tipo di opposizione non paralizza né cancella l’esecuzione, che può riprendere dopo l’eliminazione dell’irregolarità e proseguire. In sostanza, serve per il debitore esecutato a guadagnare tempo e comunque a pretendere il rispetto delle dovute forme di legge.

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C’è poi una sottile distinzione tra l’opposizione al precetto (chiamata anche opposizione preventiva) che viene proposta dal debitore quando l’esecuzione forzata nei suoi confronti non è stata ancora intrapresa, e l’opposizione agli atti esecutivi vera e propria (detta opposizione successiva), che può essere fatta dopo l’arrivo dei pignoramenti e sino alla fase dell’assegnazione o aggiudicazione dei beni pignorati.

Di solito la prima viene proposta tempestivamente, quando il debitore si accorge subito della mancanza, o dei vizi, del titolo esecutivo e/o del precetto, mentre la seconda avviene mentre la procedura esecutiva è in corso e quindi con i pignoramenti già in atto, o magari con la vendita forzata già intrapresa (ad esempio, con la fissazione della data in cui si svolgerà l’asta giudiziaria).

Nel primo caso si può ottenere subito dal giudice la sospensione dell’efficacia del titolo esecutivo e di ogni ulteriore azione conseguente; nel secondo caso la sospensione dell’intera procedura esecutiva può essere disposta dal giudice dell’esecuzione nel contraddittorio delle parti (che si svolge in un’apposita udienza), quindi il creditore procedente potrebbe opporsi e chiedere di proseguire.

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In ogni caso, tutto è rimesso alla decisione del giudice in base ai motivi sollevati dalle parti. Tutto si gioca, quindi, sui motivi che fondano l’opposizione all’esecuzione e tra questi – a parte gli eventuali vizi procedurali delle notifiche – la mancanza, o l’invalidità, del titolo esecutivo è sicuramente il più forte.

Va anche detto che l’opposizione tardiva, cioè proposta dopo la vendita o l’assegnazione dei beni pignorati, è inammissibile salvo che sia fondata su fatti sopravvenuti o l’opponente dimostri di essere stato impossibilitato a proporla tempestivamente per causa a lui non imputabile: ad esempio, un ricovero ospedaliero cui è seguito un lungo coma farmacologico. Ecco perché è bene muoversi in fretta.

Come bloccare i pignoramenti per mutuo non pagato

In caso di un determinato numero di rate non pagate (almeno 8 per i contratti stipulati fino al 2015, e più di 18 per quelli a partire dal 2016) la banca – che di solito è già munita di ipoteca sull’immobile oggetto del finanziamento – può

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pignorare i beni del debitore inadempiente, a partire dall’immobile già ipotecato, previa notifica del titolo esecutivo (il contratto di mutuo) e del precetto, in modo da soddisfarsi sul ricavato della vendita giudiziaria.

Ma se il contratto di mutuo è viziato, ad esempio perché contiene clausole abusive, ci si potrebbe opporre all’esecuzione intrapresa dalla banca e così far dichiarare inefficaci i pignoramenti e bloccare la vendita all’asta. A tal proposito le Sezioni Unite della Cassazione – in una sentenza del 2023 che, non a caso, gli addetti ai lavori hanno chiamato “blocca-aste” – ha stabilito che la vessatorietà delle clausole del contratto di mutuo (o di altre forme di finanziamento) può essere fatta valere anche in sede esecutiva, e perciò anche quando l’asta giudiziaria è già in corso, finché la procedura non si conclude con l’assegnazione dei beni all’aggiudicatario che è risultato il miglior offerente.

I giudici dell’esecuzione devono, o per meglio dire dovrebbero, rilevare anche d’ufficio la presenza di clausole vessatorie che inficiano la validità del contratto, ma nella maggior parte dei casi è necessario che l’opponente indichi loro dove si trova il vizio e in cosa consiste; quindi l’iniziativa della parte che si oppone all’esecuzione in corso nei suoi confronti è sempre opportuna. Per maggiori informazioni leggi “

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Come bloccare la casa all’asta e il pignoramento immobiliare“.

Quando il contratto di mutuo non vale come titolo esecutivo

Inoltre, secondo un recente orientamento della Corte di Cassazione (ordinanza n. 5921/2023), il contratto di mutuo costituisce titolo esecutivo solo quando l’operazione si è perfezionata con la consegna della cosa (cioè con l’accredito della somma mutuata sul conto corrente del mutuatario) e non quando si tratta di un mutuo condizionato, come quando le parti pattuiscono che il denaro concesso rimanga vincolato in un deposito cauzionale a garanzia per l’adempimento di altre obbligazioni.

In tal caso il contratto di mutuo – pur se stipulato con regolare atto pubblico notarile – non costituisce un valido titolo esecutivo e, quindi, non è idoneo a fondare l’esecuzione forzata. Nel caso deciso dalla Suprema Corte, infatti, i pignoramenti intrapresi dalla banca sono stati annullati e non si è arrivati alla vendita all’asta dei beni del debitore.

Si tratta, come avrai notato, di questioni complesse e connotate da un alto grado di tecnicità. È bene in questi casi rivolgersi a un buon

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avvocato o a un’associazione specializzata nella difesa dei consumatori: professionisti che ben conoscono quali possono essere le cause di nullità o di annullabilità dei contratti di mutui, prestiti e finanziamenti e di tutti gli altri atti e provvedimenti che fondano l’esecuzione forzata intrapresa contro i debitori.

Questi esperti sono in grado di cogliere tutte le irregolarità procedurali avvenute sin dal momento di formazione del titolo esecutivo, che potrebbe essere invalido o non più efficace. Spesso scoprire ciò e farlo rilevare al giudice dell’esecuzione nelle forme opportune significa riuscire a salvare la propria casa messa all’asta.

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