Le trappole del fisco

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Presunzioni di evasione, redditometro, controllo dei versamenti in banca: il contribuente è sempre svantaggiato rispetto all’Agenzia delle Entrate.

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Contestare un accertamento fiscale – fare cioè causa al fisco – è sicuramente possibile così come è possibile impugnare una cartella di pagamento, ma il diritto tributario ha regole diverse da quelle del diritto civile e, spesso, i contribuenti partono svantaggiati. Svantaggiati non tanto perché la controparte – l’Agenzia delle Entrate – ha avvocati più bravi o riesce ad esercitare maggiore influenza sul giudice, ma perché esistono delle insidie nascoste nella legge che rendono più difficile difendersi. Si tratta di vere e proprie

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trappole del fisco che vanno conosciute prima di avviare un giudizio e, magari, alla fine, trovarsi a dover pagare anche le spese processuali. E se anche esiste lo Statuto dei contribuenti, esso è pur sempre una legge e può sempre essere derogato da un’altra legge di pari rango che attribuisce prerogative all’Agenzia delle Entrate.

In questo articolo cercheremo di elencare le principali di queste insidie al fine di mettere in guardia il contribuente.

Le presunzioni contrarie al contribuente

Esistono, in alcuni casi, delle «presunzioni» contrarie al contribuente, dei meccanismi che costringono quest’ultimo a difendersi anche in assenza di prove sulla sua colpevolezza. Che significa? Facciamo un esempio con quello che è il caso più tipico in questo ambito: gli

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accertamenti bancari. Immaginiamo di depositare in banca mille euro in contanti. L’Agenzia è autorizzata a ritenere automaticamente – senza neanche avere prove di ciò – che si tratti di soldi avuti in “nero”, cioè non dichiarati. Pertanto li può tassare e applicare le relative sanzioni (leggi I contanti versati sul conto corrente vanno tassati). Se il contribuente vuole evitare tali conseguenze deve dimostrare che il denaro proviene da un reddito esente (ad esempio: una donazione) o già tassato “alla fonte”, ossia erogato al netto delle imposte (ad esempio: una vincita al SuperEnalotto). I versamenti in banca vanno sempre giustificati. Questo è il tipico esempio di una presunzione contraria al contribuente. In pratica, la presunzione è un fatto o un comportamento già qualificato come “sospetto” dalla legge, che costituisce “prova a favore” del fisco contro cui il cittadino deve difendersi se vuol evitare l’accertamento [1].

Redditometro

Esistono poi altri meccanismi che, se anche non raggiungono la stessa incisività delle «presunzioni», possono allo stesso modo incastrare il contribuente e costringerlo a prove difficili. Si tratta, ad esempio, del

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redditometro e degli studi di settore (questi ultimi recentemente abbandonati). In pratica si tratta di indici coi quali l’Agenzia delle Entrate può rilevare anomalie nelle dichiarazioni dei redditi e chiedere chiarimenti al contribuente. Quest’ultimo deve rispondere per iscritto o nel corso di un’audizione personale presso l’ufficio. Se non vi partecipa o non deduce alcuni fatti, non può più difendersi davanti al giudice. Se le giustificazioni addotte non sono soddisfacenti, può scattare l’accertamento. Si pensi al caso di un uomo che spende più di quanto guadagna o è intestatario di beni il cui mantenimento è eccessivamente oneroso per le sue capacità: questi dovrebbe chiarire all’Agenzia delle Entrate con quali soldi riesce a conservare tale tenore di vita. E ciò non è sempre facile per ciò che a breve si dirà.

La prova deve essere sempre scritta

Un ulteriore problema che si pone quando si ha a che fare con il fisco è la regola secondo cui non valgono, come prova a favore del contribuente, le

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prove testimoniali (salvo le dichiarazioni rilasciate alla Finanza nel corso delle ispezioni). Per difendersi, il cittadino deve ricorrere solo a documenti scritti. Ad esempio, immaginiamo che una persona riceva dalla madre una somma in contanti e che la depositi in banca; l’Agenzia delle Entrate presume che si tratti di “soldi in nero” e chiede al contribuente di dimostrarne la provenienza per evitare l’accertamento; l’interessato non può portare, come prova a suo favore, la dichiarazione del genitore affinché confermi che si tratti di soldi propri: essa non avrebbe alcun valore. Egli dovrebbe invece depositare o un atto di donazione con data certa oppure un estratto conto da cui risulti il bonifico bancario dal conto della madre a quello del figlio.

La nullità dell’accertamento si contesta entro 60 giorni

Se un accertamento fiscale è illegittimo va sempre contestato entro 60 giorni altrimenti diventa definitivo: si sana, cioè, ogni forma di nullità. Questa regola non vale invece nel diritto civile: un contratto nullo, ad esempio, può essere impugnato senza limiti di tempo.

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Anche la cartella esattoriale non ricevuta va impugnata

Un’altra regola che potrà apparire abbastanza insolita è quella che dà 60 giorni di tempo al contribuente per contestare cartelle di pagamento mai ricevute. Possibile? Sì, e per spiegarlo facciamo un esempio. Immaginiamo che una persona riceva un preavviso di ipoteca per un debito di cui non era a conoscenza. Non sapendo di che si tratta, va allo sportello di Agenzia delle Entrate Riscossione e si fa rilasciare un estratto di ruolo. Da questo rileva che c’è un debito di 50mila euro; ma in realtà la cartella di pagamento non gli è mai stata notificata. Se l’avesse ricevuta l’avrebbe potuta contestare per via di alcuni errori. Presenta allora una richiesta di cancellazione dell’ipoteca ma l’esattore non gli risponde. Passano circa tre mesi e, nel silenzio, decide di fare ricorso al giudice, chiedendo l’annullamento della cartella mai ricevuta. La sua istanza però verrà rigettata: egli aveva 60 giorni di tempo da quando ha avuto conoscenza della notifica della cartella – ossia dal rilascio dell’estratto di ruolo – per opporsi ad essa. Non avendolo fatto, la cartella è divenuta definitiva.

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Resta segreta la notifica a parenti o al portiere

Tutte le volte in cui una cartella di pagamento viene consegnata a un familiare convivente o al portiere, il contribuente – effettivo destinatario della notifica – potrebbe non venirne mai a conoscenza. Ciò perché, in tema di notifiche tributarie, non vale la regola generale secondo cui va inviata la cosiddetta raccomandata informativa (o Can: comunicazione di avvenuta notifica), con cui il postino comunica al destinatario di aver consegnato il plico ad altra persona legittimata a riceverlo. Per cui, se chi riceve la cartella per conto altrui si dimentica di consegnarla all’interessato, questi perde anche il diritto di presentare opposizione. Se non ci credi leggi la recente sentenza della Cassazione da noi commentata in Cartella di pagamento: è valida se viene data al convivente?

Le altre trappole del fisco

Esistono numerose altre trappole che si insidiano nei rapporti con il fisco. Ad esempio:

Per maggiori informazioni su questi punti leggi l’approfondimento Le otto regole fiscali che fregano il contribuente

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