Un convivente può essere a carico dell’altro?

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La possibilità di detrarre le spese sostenute per il coniuge è estesa dalla legge Cirinnà alle unioni civili ma non alle convivenze di fatto.

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Per amarsi non è necessario sposarsi e si può benissimo vivere come coppia di fatto. Ma basta la convivenza sotto lo stesso tetto, come coniugi, per ottenere anche le agevolazioni fiscali? Nonostante le recenti equiparazioni ed estensioni, il matrimonio rimane a tutt’oggi una condizione necessaria e vedremo subito perché.

Oggi, molte coppie preferiscono la convivenza di fatto anziché l’unione matrimoniale: i fattori principali che stanno determinando il successo di questa formula sono la crisi economica, che impone di evitare le spese ingenti delle nozze, e il desiderio di mantenere un rapporto “flessibile”, senza vincolarsi a condizioni rigide per la permanenza del vincolo e per il suo eventuale futuro scioglimento, con la separazione e il divorzio.

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L’equiparazione delle convivenze di fatto alle unioni matrimoniali è stata sancita con la famosa legge Cirinnà del 2016, dunque esiste da qualche anno, ma è parziale e limitata ad alcuni effetti civili, mentre il regime fiscale continua ad essere determinato dalle precedenti e più stringenti regole stabilite per i nuclei familiari “tradizionali”.

Vediamo come funziona il regime delle deduzioni dal reddito e delle detrazioni d’imposta per capire se un convivente può essere a carico dell’altro e quali sono le condizioni anagrafiche e reddituali richieste per questo particolare tipo di nuclei familiari.

Ti spiegheremo, innanzitutto, chi sono i familiari a carico e di quali agevolazioni e detrazioni reddituali possono beneficiare, per poi esaminare il particolare regime delle coppie di fatto: quando sono riconosciute tali e cosa gli spetta fiscalmente, in modo da capire esattamente qual è la differenza rispetto alle coppie unite in matrimonio.

Familiari a carico: chi sono

Sono considerati

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familiari a carico, da un punto di vista fiscale [1], il coniuge, i figli (anche quelli naturali riconosciuti ed adottivi), i genitori, i generi e le nuore, i suoceri, i fratelli e le sorelle, i nipoti, i discendenti dei figli e gli ascendenti dei genitori, a condizione che percepiscano un reddito complessivo lordo annuo non superiore a 2.840,51 euro. Per i figli di età non superiore a 24 anni questo limite è incrementato a 4.000 euro.

Tieni presente che il nucleo familiare comprende i componenti della famiglia anche quando non sono conviventi, come nel caso di uno studente universitario fuori sede che ha stabilito la propria residenza al di fuori della casa genitoriale, ma rimane sempre fiscalmente a carico se non supera i limiti di reddito che ti abbiamo indicato.

Familiari a carico: a quanto ammonta la detrazione Irpef

Avere familiari a carico si concretizza in una detrazione Irpef, che di base è di 800 euro per il coniuge e di 950 euro per ciascun figlio (aumentata a 1.220 euro per ciascun figlio di età inferiore ai 3 anni e di 400 euro per ogni figlio portatore di handicap).

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I nuclei familiari più numerosi sono premiati: se ci sono più di tre figli a carico, le detrazioni per ciascuno sono aumentate di 200 euro e se sono almeno quattro è riconosciuto un importo detraibile aggiuntivo pari a 1.200 euro.

La detrazione per i figli va ripartita al 50% tra i genitori non legalmente ed effettivamente separati, ma se entrambi sono d’accordo è possibile attribuirla interamente al genitore che possiede il reddito più elevato, in modo da sfruttarla meglio. Per gli approfondimenti consulta la nostra guida alle detrazioni fiscali per figli a carico.

Familiari a carico: le spese detraibili

Spese sanitarie, di istruzione, sportive, di abbonamenti ai mezzi di trasporto pubblico, premi di assicurazione, rate di mutuo, canoni di locazione per studenti universitari: sono queste le principali spese detraibili [2] se sostenute dal contribuente anche nell’interesse dei familiari a carico.

La detrazione attualmente spetta nella misura del 19% e viene applicata nell’anno di imposta in cui il contribuente ha sostenuto le relative spese; esse vanno indicate nella dichiarazione dei redditi (la maggior parte compare già nel

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modello 730 precompilato) fermo restando che non si possono scaricare le spese per familiari non a carico.

Non bisogna poi dimenticare gli oneri deducibili, che abbattono il reddito imponibile – e quindi riducono le tasse da pagare – in quanto danno diritto a una deduzione dall’ammontare del reddito per un importo corrispondente alla spesa sostenuta: rientrano in questa categoria i contributi previdenziali e assistenziali (compresi i premi per le forme pensionistiche complementari), gli assegni corrisposti al coniuge, le spese mediche e di assistenza per i portatori di handicap.

Le unioni civili

Si definiscono unioni civili le forme di convivenza tra due persone maggiorenni dello stesso sesso che sono state formalizzate con una dichiarazione resa all’ufficiale di stato civile. Dal 2016, sono ammesse in Italia dalla legge conosciuta come “Cirinnà” [3] dal nome del parlamentare proponente e primo firmatario.

Il rapporto dell’unione civile è soggetto ad obblighi e doveri analoghi a quello del matrimonio, a partire da quelli sull’assistenza materiale e morale e alla coabitazione fino al regime patrimoniale della coppia che, come nelle unioni coniugali, può essere di comunione oppure di separazione dei beni.

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Le convivenze di fatto

Anche la convivenza di fatto è presa in considerazione dalla legge Cirinnà [4], che la definisce come «la condizione di due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile».

L’elemento essenziale è dunque uno stabile legame affettivo tra i due partner; la coabitazione evidentemente non è sufficiente, perché si può vivere sotto lo stesso tetto per i motivi più diversi, come gli studenti universitari che dividono lo stesso appartamento.

Per ufficializzare l’unione e documentare l’esistenza del rapporto di convivenza di fatto serve comunque una dichiarazione anagrafica, resa al Comune in forma di autocertificazione (leggi l’articolo “come provare la convivenza di fatto“). Con questa dichiarazione i due componenti della coppia potranno ottenere il certificato di stato di famiglia nel quale risulteranno insieme e costituiranno dunque un nucleo familiare.

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Un convivente può essere a carico dell’altro?

Il regime della coppia che convive non è analogo a quello del matrimonio e le maggiori differenze si registrano proprio nell’ambito fiscale. L’Agenzia delle Entrate sostiene che, a differenza delle unioni civili, le convivenze di fatto non sono equiparate al matrimonio.

Solo per le unioni civili, infatti, è previsto dalla legge Cirinnà [5] che la parola «coniuge» contenuta in leggi o regolamenti – come le norme che abbiamo esaminato e che consentono le detrazioni fiscali per i familiari a carico – si applichi anche alle parti di questo tipo di rapporto; le convivenze di fatto, invece, non sono contemplate in questa estensione.

Dunque, in assenza di una previsione normativa specifica, non è previsto che un convivente possa essere fiscalmente a carico dell’altro. La situazione di fatto della coabitazione dovuta alla stabilità del rapporto affettivo non rileva ai fini della normativa fiscale.

A tal proposito l’Agenzia delle Entrate [6] ha precisato che «per quanto riguarda le convivenze di fatto, di cui all’art. 1, commi 36 e 37, della citata legge n. 76 del 2016, tra due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso Comune, la legge Cirinnà non ha disposto l’equiparazione al matrimonio. Pertanto, il convivente non può fruire della detrazione relativa alle spese sostenute nell’interesse dell’altro convivente».

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