Come avere il rimborso delle tasse pagate in più

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Cosa deve fare chi ha pagato l’Irpef, l’Iva o altre imposte in eccedenza rispetto al dovuto per farsi restituire le somme; come agire se il rimborso viene negato.

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Può capitare ad ogni contribuente di eseguire versamenti d’imposta in eccesso. Questo succede specialmente quando si opera l’autoliquidazione del tributo, compilando da sé il modello F24 da pagare: ad esempio, per il saldo Irpef di chi non ha un sostituto d’imposta, o per l’Imu dovuta annualmente sugli immobili posseduti. Ma c’è anche chi paga due volte, duplicando un versamento già fatto in precedenza e che aveva dimenticato o perso.

Cosa fare quando ci si accorge degli errori di calcolo e dei versamenti fatti in eccedenza rispetto a quanto dovuto? Vediamo

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come avere il rimborso delle tasse pagate in più. Nulla è perduto, almeno fino a quando non sono decorsi i termini di prescrizione e di decadenza, oltre i quali non si può più chiedere la restituzione.

Rimborso imposte dirette: l’istanza all’Agenzia delle Entrate

Per le imposte dirette (sono quelle che colpiscono direttamente i redditi, quindi Irpef, Ires ed Irap), la normativa tributaria [1], prevede la possibilità di ottenere il rimborso mediante presentazione di un’istanza all’Agenzia delle Entrate. Questa istanza è in carta semplice e può essere presentata allo sportello, o inviata per posta o via e-mail, all’ufficio della Direzione Provinciale dell’Agenzia delle Entrate del luogo in cui il contribuente ha il proprio domicilio fiscale. Si possono anche utilizzare i servizi di presentazione telematica, per chi è dotato delle credenziali di accesso al proprio “

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cassetto fiscale“.

Nel modulo di richiesta (disponibile sul sito dell’Agenzia delle Entrate alla pagina “Modelli”) bisogna indicare i seguenti dati:

Istanza di rimborso: i possibili esiti

Se la domanda di rimborso viene

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accolta dall’Agenzia delle Entrate, il contribuente riceverà l’accredito della somma sul proprio conto corrente, bancario o postale (se ne è privo, riceverà all’indirizzo di domicilio fiscale un assegno vidimato emesso da Poste Italiane, che potrà essere incassato in contanti allo sportello, previo accertamento dell’identità del presentatore mediante esibizione del suo documento di riconoscimento).

Se, invece, la domanda viene respinta – ciò può accadere con un provvedimento esplicito di rigetto, o anche con un «silenzio rifiuto», se sono trascorsi 90 giorni dalla presentazione dell’istanza senza ricevere risposta – il contribuente potrà impugnare questo diniego con ricorso alla Corte di Giustizia tributaria competente per territorio (l’ex Commissione tributaria di primo grado). Il provvedimento di rigetto esplicito (o di accoglimento solo parziale del rimborso) va impugnato entro 60 giorni dalla data di ricevimento della comunicazione, mentre in caso di silenzio rigetto si può presentare ricorso entro il termine ordinario di

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prescrizione decennale [2].

Istanza di rimborso: termini di presentazione

La presentazione dell’istanza di rimborso deve avvenire, a pena di decadenza, entro 48 mesi dalla data di esecuzione dei versamenti eccedenti o di prelevamento di ritenute alla fonte. Negli altri casi, opera il termine generale previsto dalla legge tributaria [3] di due anni dalla data di avvenuto pagamento o «dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione».

Quest’ultima parte della formulazione normativa è talvolta difficile da interpretare, perché in alcuni casi non è chiaro quale sia il momento di insorgenza del diritto al rimborso, dal quale iniziano a decorrere i suddetti termini decadenziali. Al riguardo, la Corte di Cassazione [4] ha precisato che se il credito d’imposta risulta già desumibile dalla dichiarazione del contribuente, e non è stato contestato dall’Amministrazione finanziaria, l’istanza di rimborso non segna il «fatto costitutivo del diritto», ma «solo il presupposto di esigibilità del credito

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per dare inizio al procedimento di esecuzione del rimborso stesso»: di conseguenza, non trova applicazione il termine biennale di decadenza, bensì quello di prescrizione decennale.

Rimborso mediante modello 730 o dichiarazione integrativa

Per evitare di incorrere nei ristretti termini di decadenza che abbiamo indicato, è possibile chiedere il rimborso delle imposte pagate in più anche presentando una dichiarazione integrativa dei redditi [5], entro i consueti termini di accertamento fiscale, vale a dire entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui era stata presentata la dichiarazione originaria. Nel modello Redditi integrativo bisogna indicare l’importo chiesto in restituzione nel quadro RX e si può anche scegliere di riportare l’eccedenza come credito d’imposta da utilizzare nella successiva dichiarazione (se non verrà fruito in tale periodo, si potrà chiedere il rimborso nella dichiarazione dei redditi dell’anno successivo).

I contribuenti che per la dichiarazione utilizzano il modello 730

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si accorgono dei versamenti in eccesso possono anche presentare un modello 730 integrativo, dal quale emergerà il prospetto di liquidazione corretto, e il sostituto d’imposta provvederà a rimborsare l’accredito spettante, come avviene per gli ordinari conguagli, ma i termini sono più ristretti: bisogna farlo entro il 25 ottobre dell’anno di riferimento, altrimenti è necessario utilizzare il modello Redditi (leggi “Errori nel 730: come rimediare?“).

Rimborso imposte indirette e Iva

L’istanza di rimborso relativa alle imposte indirette (come l’imposta di registro, o di bollo, e l’imposta sulle successioni e donazioni) deve essere presentata, con modalità analoghe a quelle che abbiamo descritto per le imposte dirette, entro 36 mesi dalla data del versamento eccedente, o, se posteriore, dal giorno in cui è sorto il diritto alla restituzione.

Il rimborso dell’Iva segue una strada un po’ più complessa, perché la domanda deve essere formulata nella dichiarazione Iva annuale, o in quella di liquidazione periodica (mensile o trimestrale), mediante richiesta in via telematica, e l’erogazione del rimborso avviene sul

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conto fiscale del titolare di partita Iva, a meno che nel frattempo il contribuente non abbia cessato la propria attività, nel qual caso l’accredito – a seguito degli appositi controlli da parte dell’Ufficio – avviene sul conto corrente.

Inoltre, i rimborsi di importo superiore a 30mila euro possono essere condizionati alla prestazione di una garanzia, come una fideiussione bancaria o assicurativa. Se il credito Iva da rimborsare è munito dell’attestazione di certezza e liquidità (rilasciata dalla Direzione Centrale Servizi Fiscali dell’Agenzia delle Entrate) è possibile ottenere un’anticipazione del rimborso tramite le banche convenzionate e a tassi di interessi agevolati.

La prescrizione dei rimborsi Iva è la medesima che abbiamo già esaminato, quindi opera sia il termine di decadenza biennale sia quello di prescrizione decennale. Una recente ordinanza della Cassazione [4] ha precisato che «la domanda di rimborso del credito Iva deve essere tenuta distinta da quella di compensazione dell’imposta con altro debito fiscale, sicché, laddove l’istanza del contribuente sia formulata in termini di compensazione, e non denoti l’inequivocabile volontà di ottenere il rimborso del credito (mediante l’indicazione del credito nel quadro RX4 della dichiarazione annuale), non si applica il termine ordinario decennale di prescrizione, bensì quello di decadenza biennale». Questo principio taglia la strada a chi, inizialmente, aveva chiesto di utilizzare il credito Iva in compensazione e successivamente aveva deciso di optare per il rimborso: se nel frattempo erano già spirati i termini, l’Agenzia delle Entrate può legittimamente negare il rimborso, per intervenuta decadenza. Puoi leggere la pronuncia della Suprema Corte per esteso nel box a fondo pagina.

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